30 aprile 2010

Web radio, puntata 9

Tornano, dopo una serie di infortuni, i nostri 3 web-jay preferiti con una super-puntata di un'ora e mezza completamente dedicata agli anni '90 del vecchio secolo! Insieme a loro un'ospite d'eccezzione, la nostra blogger M. Mae!

Oggi,
venerdi 30 Aprile, alle ore 16,30 solo su FUSORADIO!

Ecco la consueta scaletta della puntata, buon ascolto:

dEUS - Suds & Soda
Belle & Sebastian - Me and the Major
Portishead - Mysterons
Beck - Thunder Peel
Ride - in a different place
Bjork - Joga
Kyuss - Thong song
Teenage FanClub - Your love is the place where i come from
Soulwax - too many dj's
The Beta Band - dry the rain
Mineral - slower
Temple Of The Dog - Hunger Strike
Lemonheads - Confetti
Breeders - Cannonball
Make Up - Ghospel 2000
Daft Punk - Burnin'

Ascolta la puntata quando vuoi in streaming cliccando qui.

28 aprile 2010

L’Insostenibile Leggerezza Dell’Essere Pop, Parte Terza - La Band(a) Degli Italiani

…A Toys Orchestra – Midnight Talks – Urtovox 2010


Ci sono un canadese, un neozelandese e un italiano... Sembra proprio l’inizio di una classica barzelletta dove l’italiano alla fine la spunta sempre. In realtà qui si sta parlando di tre autori-musicisti indie rock che sanno comporre brani pop in maniera magistrale. Del canadese Jace Lasek dei Besnard Lakes (in verità aiutato nella scrittura anche dalla moglie Olga Goreas) e del neozelandese James Milne, alias Lawrence Arabia, abbiamo già detto. Ci manca l’italiano. Ed ecco allora Enzo Moretto, leader dei salernitani (per essere precisi di Agropoli) …A Toys Orchestra, presentarsi come paladino della genialità pop tricolore. L’orchestra giocattoli si era già messa in bella mostra con il precedente Technicolors Dreams del 2007, dove Moretto ci regalava una manciata di canzoni pop eleganti, mostrando una brillante capacità di scrittura. E dopo tre anni il bravo Enzo si ripete e forse si supera con il “disco più rock” (sono sue parole) del suo gruppo. Il lavoro si apre subito nel segno del pop più raffinato con una ballata pianistica di delicata bellezza come Sunny Days, in cui Ilaria D’Angelis duetta con un ispirato Moretto. Con Red Alert si prosegue verso un pop scanzonato di ispirazione kinksiana, impreziosito da stuzzicanti interventi fiatistici. Mystical Mistake è dalle parti dei Queen sforna- singoli. Nel ricco menù di questo disco non manca anche una dolce ballata acustica come The Day Of The Bluff, colorata dagli interventi crepuscolari degli archi e della soffusa voce di Ilaria. Backbone Blues è un hard rock con vertiginoso arrangiamento di fiati che suona come la strepitosa versione di Whole Lotta Love, interpretata da King Curtis nello splendido Live at Fillmore West. Celentano è una bella ballata, ottimamente arrangiata, che scherzosamente cita Yuppi Du. E quando si vogliono comporre canzoni pop alla fine ci si deve inevitabilmente confrontare con l’immensa tradizione beatlesiana. E così dal talentuoso Chef Moretto ci vengono servite Plastic Romance Pt. 2, Pills On My Bill, Look In Your Eyes, Summer e The Golden Calf in salsa Lennon e profumo McCartney. Insomma per dirla come il buon Enrico Enver Veronese (almeno per questa volta) Italians do it better…

VOTO: 28/30+

Massimo Daziani

26 aprile 2010

Measure for measure

Field Music, Measure
(Memphis Industries, 2010)

Measure è uno di quei dischi semplici, il rock di un gruppo poco influente, che non lancia particolari tendenze. Si tratta di una indie rock britannico testardo e calcolabile. E' un disco da ascoltare e riascoltare che trova la sua forza in una evidente mancanza di urgenza. Finirà, forse, considerato come un'opera né tanto male né eccelsa, ma la sfida all'ascoltatore sta proprio dietro la non necessità di un disco doppio, che nasconde in realtà un gioiellino.
I Field Music sono 2 fratelli del nord-est inglese che si fanno notare nel 2005 con il loro pop d'autore e un paio di album gradevoli ma che, vista la concorrenza dei vicini di casa Futurheads e Maximo Park, passeranno in secondo piano.
Poi David e Pater Brewis opteranno per dar maggior spazio ai loro side-projects, il primo con gli School of Language e il secondo The Week That Was e proprio adesso, quando nessuno se l'aspettava tornano insieme con questo doppio album, dotato di una certa ambizione, zero cadute di stile e ottime canzoni.

A primo ascolto Measure sembra apportare poche novità, senza grossi rischi, delineandosi come un album passeggiero dagli arrangiamenti fin troppo calcolati che vanno a scapito dell'empatia sonora. Con un po' di pazienza però l'album scopre la propria bellezza e cattura, creando una certa dipendenza come gli album doppi dovrebbero fare. Pezzi meravigliosamente scanzonati e leggeri che finiscono per divenire una colonna sonora del quotidiano.

La prima parte mostra lo stile Field Music, anche se più ispirato del solito, canzoni rock che sarebbero potute uscire da una qualsiasi epoca, dalla divertente "Them That Do Nothing", passando per i violini della canzone che da il titolo all'album, per la contagiante "Effortlessly", fino alla molto cool "Let’s Write a Book".
E'però nella seconda parte del progetto che i fratelli giocano con la musica come chi possiede la completa libertà di comporre 20 pezzi in una botta sola. Measure ricorda qui un'opera rock dove si affacciano dei perduti The Who (prendiamo i rumoretti di "The rest is noise"), ma l'impressione di complessità è smentita dall'attitudine della coppia "suono perchè voglio e mi piace", il che garantisce quell'aria gradevolmente leggera alla doppietta "The Wheels Are in Place / First Comes the Wish" e all'ammaliante "Precious Plans".
Quindi date tempo a questo disco di impadronirsi di voi, lasciategli modo e tempo, non vi deluderà.

27/30
Fox

25 aprile 2010

Manca il Mordente?

Autechre - Oversteps (WARP 2010)

Sarà che nelle orecchie ho sempre il loro più grande capolavoro (parlo di Amber ndr), sarà che sono passati giusto due anni dall’uscita del loro ultimo disco Quartice, che si era rivelato carino, non male, anche se…

Devo dire che ad Autechre devo qualcosa, perché mi ha risolto diverse situazioni e in maniera piacevole, perché mi ha ispirato diverse idee e perché due o tre volte mi ha addirittura salvato la vita, e non sto scherzando.

Il punto di forza del duo targato WARP è sempre stato la coerenza ritmica dei dischi, Incunabula, Amber, Untitled, flussi musicali omogenei ma comunque originali che stupiscono l’ascoltatore ogni minuto che passa. In Oversteps questa coerenza pare mancare. Sono stato piacevolmente allietato dai primi due pezzi (R Ess ed Ilanders) ma poi comincia una sperimentazione che di innovativo ha ben poco. Know ha in sé dei ritmi orientali senza sfogo, con See on See sembra che si apra il carillon della nonna che mi sarebbe sempre piaciuto spaccare nel camino, stesso ragionamento che si può fare con 0=0, che più che un emoticon sembra un pianto turco.

A parte i paragoni assolutamente perdenti, questo disco vive anche di note assolutamente piacevoli. La parte centrale dell’aria è godibile e pare ricatapultare i timpani in quei cunicoli tanto cari agli ammiratori del duo di Rochdale. Os Veix3 migliora di minuto in minuto, Treale mostra un glich che grattugia per bene i neuroni mentre Redfall porta in scena una cascata che sfida i principi della meccanica con il suo moto perpetuo. Il brano più carino però, a mio parere, è St Epreo che pare, appunto, santificare l’ascolto di Overstep con una benedizione Urbi et Orbi dal sapore antico.

Onestamente: mi sarei aspettato di più da Autechre, molto di più. Alla fine mi sento come uno che va a mangiare in un ristorante carico di bei ricordi ma dove l’unico piatto accettabile è rimasto una amatriciana pretenziosa e poco condita. In parole povere si poteva fare di meglio.

Voto 23/30

Tòmmy

23 aprile 2010

L'insostenibile leggerezza dell'essere pop, parte seconda

Lawrence Arabia - Chant Darling - Bella Union 2010

Chi non fa nulla per nascondere la sua passione per il pop e va diretto alla fonte dei maestri degli anni sessanta (Beatles e Beach Boys in primis) è il neozelandese James Milne, in arte Lawrence Arabia. Il suo Chant Darling è, fin dall’iniziale e beatlesiana Look Like A Fool, un piccolo manuale della perfetta canzone pop. Dalle parti dei Fab Four sono anche The Undesirables (con una bella interpretazione vocale alla John Lennon) e Dream Teacher. Con Apple Pie Bed Milne scrive un singolo esemplare, con il ritornello che si canticchia già al primo ascolto. The Beautiful Young Crew è una deliziosa ballata folk-pop con cori alla Beach Boys. Altro punto di riferimento stilistico di Lawrence Arabia sono i Kinks: ascoltare Eye A, Fine Old Friends e I’ve Smoked Too Much per credere. Il nostro non disdegna anche pezzi con venature acide come Auckland CBD Part Two (con aromi world music) e soprattutto come la splendida ballata pop-psichedelica The Crew Of The Commodore (tra i primi Pink Floyd e i Kaleidoscope inglesi). Un disco troppo derivativo? Può darsi, ma l’amore di James per la musica del passato è sincero e viene supportato da una capacità compositiva eccellente. Questa è una raccolta di canzoni da assaporare senza preconcetti, lasciandosi andare alla dolce carezza di una musica pop di gran classe. Insostenibilmente leggera, appunto.


VOTO: 28/30


Massimo Daziani

16 aprile 2010

Yes Guru, Yes Method, Yes Teacher

Gonjasufi - A Sufi And A Killer - Warp 2010

Solo poche settimane fa tessevo le lodi di un grande gruppo del passato: gli Spirit. E mentre ascoltavo questo affascinante disco di Gonjasufi, alla traccia numero 10, Dust, ho avuto un sussulto. Il ragazzo ha campionato uno dei miei pezzi preferiti proprio del mitico gruppo californiano, The Other Song, presente in Son of Spirit, un loro disco del 1976. Non ci sono dubbi: il nostro ha buoni gusti musicali… Ma partiamo dall’inizio. Dietro la sigla Gonjasufi si cela Sumach Valentine, trentenne californiano ex rapper che, tra la fine degli anni novanta e gli inizi del duemila, ha frequentato oscuri collettivi hip-hop underground. Nel 2005 il buon Sumach, come un novello San Paolo sulla via di Damasco, si converte allo yoga, ne diventa maestro e si apre ad una nuova vita artistica profondamente immersa in una dimensione spirituale. A questo punto Valentine frequenta il collettivo di Los Angeles Brainfeeder dove lega con William Benjamin Bensussen, in arte The Gaslamp Killer. Con lui nel 2007 registra la bella Kobwebz presente nella compilation ArtDontSleep Presents From L.A. : With Love e che diventerà la seconda traccia di questo A Sufi And A Killer. Si tratta di un pezzo affascinante che mischia suoni analogici con elettronica sporca producendo un’atmosfera psichedelica di malsana bellezza. E poi su tutto risalta la voce di Gonjasufi, avvolta da delay ed echi, acuta, acidula e dolce nello stesso tempo. E così si accorge di lui anche un altro produttore famoso dell’odierna scena hip-hop americana e fondatore della Brainfeeder Records, quel Steven Ellison meglio noto come Flying Lotus. Gli fa cantare un brano, Testament, nel suo album del 2008 Los Angeles, uscito per la Warp. E vista la meravigliosa interpretazione vocale, un gracchiante falsetto tra Antony e Billie Holiday, la casa discografica inglese non si lascia sfuggire il talentuoso Valentine, ormai trasformatosi in Gonjasufi, maestro yoga che vive nel deserto del Nevada vicino a Las Vegas. E sotto l’egida di tre produttori “di grido” come i già citati Gaslamp Killer, Flying Lotus e Jon Ancheta, in arte Mainframe (che si occupa di Candylane, un pezzo disco-funky degno dei Brothers Johnson, e di Holidays , una filastrocca elettronica cantata in maniera splendidamente straziante dal nostro), finalmente esce questo A Sufi And A Killer. Steve Beckett, boss della Warp, ha definito la musica di Gonjasufi hip-hop profondo, spirituale, complesso. Ma forse avrete già capito che il mondo sonoro di questo disco è , grazie al cielo, molto di più. L’elettronica è solo il punto di partenza per creare musica psichedelica con tutte le sue innumerevoli sfumature che vanno dal blues (Ageing), al folk-pop (Sheep, She Gone e I’ve Given), dal garage (Suzie Q. e Stardustin’) al soul da Blaxploitation (Change), non disdegnando suggestioni da world music (Rebirth e Kowboyz&Indians). Insomma una strada nuova e originale per rileggere la classica e immortale forma canzone, che negli intenti mi ricorda lo splendido esordio degli inglesi Malakai ( e vista la recente ristampa da parte della Domino ritorneremo anche su di loro…). Sicuramente uno dei best di quest’anno.

VOTO: 29/30

Massimo Daziani

13 aprile 2010

Saturday Night Live Fever

Due sabati, due concerti. Mi sono divertito più nello scegliere il titolo di questa recensione che nell’assistere a queste serate. Ho visto due gruppi che si possono definire le due facce della stessa medaglia di un certo indie-rock, in fondo sempre uguale a se stesso e quindi autoreferenziale. Andiamo a scoprire chi sono.

The Hidden Cameras – Circolo degli Artisti – Roma 03.04.10

Il gruppo canadese l’anno scorso ha fatto uscire Origin, Orphans, loro quarta fatica. Si tratta di un indie pop gigione e festaiolo che fa entrare il loro album in quell’oceano dei dischi “carini” di cui ci si dimentica nel giro di qualche settimana. Intendiamoci, hanno suonato bene per un’ora e quarantacinque minuti, Joel Gibb (che, a trentatrè anni, non si può definire proprio un ragazzino) è un ottimo front man e ha una bella voce, sono stati divertenti con le loro trovate da campus universitario, come bendarsi gli occhi durante l’esecuzione di un brano, però a lungo andare si faceva strada qualche sbadiglio, e nasceva spontanea questa domanda: ma quando crescete? (inteso anche come evoluzione musicale..). Musica per irrimediabili bamboccioni affetti da sindrome di Peter Pan.

VOTO: Carino-Niente Male


Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra – Karemaski – Arezzo 10.04.10

A parte qualche eccezione, tutta la critica di settore ha esaltato Kollaps Tradixionales, sesta (Gesù!) fatica dei canadesi Silver Mt. Zion, uscito recentemente per la Constellation. Forse l’emozione per la perdita di un grande artista come Vic Chesnutt, di cui i nostri sono stati peraltro ottimi accompagnatori, ha ben disposto i recensori ufficiali. Sta di fatto che l’ultimo disco è di una noia imbarazzante, in quel suo crogiolarsi in un post-rock minimalista, con visioni strazianti e apocalittiche a base di chitarre distorte, immancabili archi che fanno tanto decadente e la voce neniosa di Efrim Menuck. E dal vivo tutto questo è risultato ancora più amplificato...

VOTO: Molto Post-Rock, Molto Alternative




Massimo Daziani

10 aprile 2010

L’Insostenibile Leggerezza Dell’Essere Pop

The Besnard Lakes - Are The Roaring Night - Jagjaguwar 2010

Che il titolo della recensione non vi tragga in inganno: in questo splendido disco dei canadesi Besnard Lakes, non c’è nulla di facile e di banale. Anzi le influenze che si trovano nel loro sound sono molteplici e complesse: psichedelica dei primi Pink Floyd, shoegaze, post rock (con una attitudine al progressive), dream-pop, rock classico. Però il modo di maneggiare questo corposo magma sonoro è indiscutibilmente pop. Così anche brani lunghi e apparentemente intricati, come per esempio l’iniziale Like The Ocean, Like The Innocent, nelle sapienti mani della coppia (sia artistica che di fatto) Jace Lasek (chitarra e voce) e Olga Goreas (basso e voce) si trasformano in perfette canzoni pop. Ecco allora che l’ombra dei Beatles si confonde con le cascate chitarristiche shoegaze di Glass Printer. I Beach Boys sembrano flirtare con i Sonic Youth nella splendida Albatross cantata in maniera dolcemente indolente da Olga. Ancora il falsetto di Lasek, circondato da eterei cori, ci ricorda il miglior Brian Wilson nella dolce Chicago Train, che però a metà si anima improvvisamente in chiave rock con l’ingresso deciso di batteria e chitarra. Land Of Living Skies è invece un’epica ballata psichedelica ottimamente interpretata dalla Goreas. Il rock ruvido di And This Is What We Call Progress si impreziosisce della splendida vocalità di Lasek, sempre pronto a stupirci con i suoi interventi in falsetto. Light Up The Night e The Lonely Moan, rispettivamente una grande ballata rock cantata da Jace e un impalpabile pezzo dream-pop colorato dalla dolce ugola di Olga, chiudono degnamente una splendida raccolta di canzoni ben scritte e ottimamente suonate (giusto citare anche il resto della band: Kevin Laing alla batteria e Richard White alla chitarra).
E che l’ascolto sia con voi…

VOTO. 28/30

Massimo Daziani

2 aprile 2010

Il Primo Libro delle Odi di Oratio

Oratio - Ora Ti Ho - Malintenti Dischi 2009

Volendosi togliere il proverbiale sassolino dalla scarpa, mi viene da cominciare questa recensione ringraziando il cielo che ultimamente c'è una nuova generazione di artisti italiani che si ispira più alla nostra meravigliosa tradizione cantautoriale (Gaber, Tenco, Battisti, De Andrè, Battiato, Gaetano ecc.) piuttosto che al post-punk appenninico e provinciale di Lindo Ferretti (che mi sembra sempre più preoccupante nelle sue confuse esternazioni catto-leghiste). E Andrea Corno, in arte Oratio, proveniente da Barcellona Pozzo di Gotto, rientra decisamente in questo gruppo di musicisti che prendono ispirazione dai classici della nostra canzone d'autore. Ad un primo ascolto il nome che viene subito in mente è quello di Dente. Molte sono infatti le affinità con il cantautore di Fidenza. Forse anche troppe... Canzoni come Non guariremo Più, Dietro Le Quinte e Tre Cuscini sembrano uscite dalle sedute di "L'Amore Non E' Bello". Eppure, al di là di certe ingenuità stilistiche, il giovanotto ha talento e lo dimostra in brani come Una Parte Di Me con il suo bell'incedere country, Il Bianconiglio, Il Tabacchino E' Chiuso dove si intravede la vena ironica del grande Rino Gaetano o le ispirate Muoio e Ce Ne Andremo Via. In definitiva si tratta di un esordio incoraggiante di un'artista dalla scrittura vivace che fa ben sperare per il prossimo futuro.

VOTO: 26/30

Massimo Daziani

VIII Puntata di Notizie Sullo Stato Della Musica Nell'Età Della Pietra su Fusoradio


Eccoci giunti all'ottavo appuntamento consecutivo con Notizie Sullo Stato Della Musica Nell'Età Della Pietra insieme ai fidi OfO, Signorina Zeta e Puchos, autori di un programma altamente indie-cato.

A voi la scaletta dei pezzi che trametteremo oggi, 2 aprile, su FUSORADIO alle ore 16:30:

Lisa Germano - My secret reasons
The Hidden Cameras - In the Na
..And You Will Know Us by the Trail of Dead - Caterwaul
Deerhoof - Twin Killers
Caribou - Odessa
Amari - Girls on Vodka
Okkerville River - Our life is not a movie or maybe
Liars - No Barrier Fun
Dvno - Soldier in love
Psapp - The monster song
Why? - Whispers in to the Other
Syd Barrett - Baby Lemonade

A-S-C-O-L-T-A-T-E-C-I

Per ascoltare il podcast cliccate: qui

Il suonatore Terje

Terje Nordgarden live@Beba Do Samba, 01/04/2010, Roma

Ci sono un cantautore americano, uno norvegese e uno italiano che si mettono a suonare insieme e a sfottere Berulsconi. Sembra una barzelletta? No, almeno per chi ha assistito al prezioso concerto di ieri sera di Terje Nordgarden, cantautore norvegese made in Italy che attinge dalla migliore tradizione cantautoriale americana. Buckley, Drake, Elliot Smith, tanto per intenderci. Nel bel paese Terje ha passato quattro anni, qui si è fatto produrre il disco d'esordio nel 2003 da Benvegnù e nello stesso anno si è esibito nel main stage dell'ormai defunto festival Arezzo Wave.

Nordgarden scalda subito il pubblico, ci sa fare, e si vede da subito, da come imbraccia la chitarra. Canzone dopo canzone stabilisce un rapporto sincero col pubblico grazie a quella voce pulita, lineare e alle sue ballate in cui si fondono folk e blues e che arrivano dritte ai suoi ascoltatori che non possono far altro che partecipare. Battere le mani a tempo viene spontaneo. Mantiene sempre il contatto con chi è lì per ascoltarlo e, quando non gli sembra sufficiente il suo approccio, eccolo che si allontana dal microfono per far sentire la sua voce senza amplificazioni, nuda e cruda. Bellissima. Si vede che ha il piglio di chi ha suonato tanto dal vivo, in quei localini fumosi in cui si va sentire musica dal vivo non conoscendo il cantante di turno e, a fine serata, ci si ritrova sbronzi con lui al bancone. Sa intrattenere e non solo con buona musica. Parla e si confida: una canzone per una ragazza di Sorrento, storia finita male. Il grigiore di un inverno bolognese. Incita il pubblico a tenere alla larga Berlusconi, per quanto sia possibile, e gli dedica un'azzeccatissima "Stay Away", con tanto di coro di tutto il pubblico.

Fa tutto da solo Terje, suona, canta, si accompagna anche con l'armonica, come ogni cantautore che si rispetti, sovraincide con la chitarra più e più volte fino a creare suoni complessi nel modo più semplice possibile. Se sbaglia qualcosa nelle sue sovraincisioni, riparte da capo, non gli interessa la forma, non nasconde l'errore, vuole che il suono sia quello che ha in mente. E se qualcuno parla a voce troppo alta disturbandolo, si ferma, lo rimprovera e ricomincia a cantare. Improvvisa con il pianoforte solo una canzone e, nonostante la mancanza di tecnica, riesce a farsi apprezzare anche in questo frangente, perchè fa della semplicità la sua cifra stilistica. La semplicità di chi sa comunicare con profondità il suo vissuto con i pochissimi mezzi a disposizione e un songwriting fluido e sempre ben costruito.
A fine concerto dà l'ennesima prova di conoscere bene il nostro paese, non solo per le invettive contro il presidente del consiglio, ma anche con un omaggio a De Andrè, "Il suonatore Jones", solo la scelta gli rende onore.

In attesa del suo nuovo disco, in uscita il prossimo autunno, ringraziamo calorosamente il menestrello norvegese.

Voto: 28/30

Eleonora Zeta

1 aprile 2010

Il bicchiere mezzo pieno...

Lisa Germano & Philip Selway (Radiohead) live @ Circolo degli artisti, Roma 31/3/2010

Per dimostrare che i Radiohead hanno fatto più danni della grandine sopratutto a livello di Glamour (la ghigliottina per me è quasi pronta!) è stato sufficiente partecipare alla serata di ieri. Cartina di tornasole è quella parentesi posta a fianco del nome Philip Selway che ha fatto sì che il Circolo fosse (im)prevedibilmente pieno imballato, con buona pace del nostro Massimo Daziani (uno dei più grandi fan di Lisa Germano in circolazione) che sfortunatamente mi ha comunicato via telefono che per lui non ci sarebbe stato posto(!) all'interno. Sold Out(!!).
Per farla breve, un 30% degli spettatori (quelli veri, eccheccazzo..) era venuto per godersi la divina Lisa, il “restante” 70% era venuto per farsi una serata very cool (quelle alle quali non puoi proprio mancare) per "godersi" il sedicente batterista dei Radiohead, senza sapere chi fosse o cosa realmente li aspettasse! Esempi calzanti? Accanto a me volavano frasi del tipo: “Ma è lui? Ma non c’aveva i capelli?”, “… eh si, fa proprio musica americana tipo i Radiohead (?)”, “Guarda buffo questo basso!” (ehm…è un contrabbasso, coglione).
Risultato finale: un casino della madonna all'inizio – la gente faceva a cazzotti per arrivare in prima fila - platea mezza vuota alla fine!

Ma veniamo alla cronaca.
Sul Palco salgono in quattro: Lisa al piano, Selway sornione seduto a guardare, un bassista e un violinista. Comincia la signora del folk e subito la pelle si accappona. Lisa è una sirena, un’artista a tutto tondo che ti attrae con la sua voce e con la sua straripante libertà creativa e compositiva: t’incanta e ti sconquassa quando prende la chitarra e la suona sgarbatamente con un approccio (post)punk e sbrodolone che neanche Townshend, ti sorprende quando stupra il piano con dei sincopati che di ritmico non hanno nulla, se non il battito del tuo cuore, t’iptonizza con quella cristallina voce che nessun effetto computeristico potrebbe mai lontanamente alterare o replicare (se possibile, ancora più bella e delicata che su disco).
Poi è la volta del ragioniere dell’Alt. Folk Philip Selway. Mediocre nel canto, nelle composizioni, nel suonare la chitarra; un impiegatino della musica messo li, a caso, ardito nel volersi vendicare di tanti anni di oscurità all’ombra dei suoi colleghi-compagni più affermati (Yorke, Greenwood) ma che finisce solo per palesarsi in quella parentesi che lo accompagna accanto al nome. Philip è quella “parentesi”, se ne faccia una ragione e torni dietro la sua scrivan... ehm.. batteria!
La serata purtoppo si alterna così, tra le stelle e le stalle: una manciata di canzoni di Lisa e un po’ di pezzi di Phil (troppi, SIGH!). Ma chi l’ha studiata così sta serata?
L’amaro in bocca è tanto! Lisa ti prego torna…. da sola però sto giro!!!

Scrutini Finali:
sig.ra Lisa Germano 28/30
sig. Philip Selway bocciato

OfO