23 settembre 2010

Psychedelic Dreams

Tame Impala - Innerspeaker - Modular 2010

Splendido disco d’esordio per questo trio australiano (dal vivo diventano un quartetto con l’innesto del bassista Nick Allbrook) proveniente da Perth. Kevin Parker, voce e chitarra del gruppo, dà una perfetta idea della loro musica, definendo il suo gruppo come “una rock band dal continuo e fluido groove psichedelico che enfatizza melodie sognanti”. Infatti nel disco si amalgamano in perfetto equilibrio riff chitarristici hard, basi ritmiche prog, melodie sognanti che rimandano alla psichedelica inglese sixties, impasti vocali dei Beatles più acidi e tentazioni elettroniche. Allora è facile farsi trascinare dalla melodia distorta alla Revolver (It's Not Meant To Be, Desire Be Desire Go, Lucidity, I Don’t Really Mind), dalle derive Canterbury (la strumentale Jeremy’s Storm e la lunga Runaway Houses City Clouds ) e da viaggi pinkfloydiani contaminati con vigorosi innesti rock-blues (The Bold Arrow Of Time). Pura classe.

VOTO: 28/30 +

Sleepy Sun - Fever - ATP 2010

I californiani Sleepy Sun sono invece fortemente ancorati ai padri della classica psichedelia americana. Grazie anche agli impasti vocali di Bret Constantino e della brava Rachel Williams (Grace Slick docet) si sente profumo di Haight-Ashbury. Comunque anche loro cercano di rileggere la musica acida in maniera non calligrafica, contaminandola con ritmiche stoner, memorie hard-blues, spruzzate di folk, attitudine prog. Brani come la dolce Rigamaroo, ideale per una serata in spiaggia a contemplare stelle cadenti, Wild Machines, nel suo affascinante alternarsi di eteree voci e potenti riff doom, Marina, ipnoticamente lisergica, improvvisamente animata da ritmi tribali e latini, sono alcune delle gemme di cui è composto questo bel disco.

VOTO: 28/30

The Black Angels - Phosphene Dream - Blue Horizon Records 2010

Dimenticatevi la psichedelia visionaria del precedente e ottimo Directions To See A Ghost. Qui non abbiamo brani improvvisati e lunghi, con incedere ipnotico e uso dell’elettric jug, in onore dei 13th Floor Elevators. In questo disco i riferimenti più diretti sono quelli alla psichedelica soffice della Swinging London: pensiamo ai Kaleidoscope (Phosphene Dream, True Believers), ai Pretty Things (Haunting At 1300 McKinley, Telephone, The Sniper) e ai i Pink Floyd di Barrett (Yellow Elevator #2). Ma i Black Angels toccano pure lidi beat stralunati alla Kinks (Sunday Afternoon), non dimenticando lo space rock degli Hawkwind (River Of Blood) e non disdegnano neanche innesti di energici riff rock oscuri (Bad Vibrations, Entrance Song). Una band in stato di grazia che ci regala un grande disco ritornando splendidamente all’universo canzone.

VOTO: 28,5/30

Black Mountain - Wilderness Heart - Jagjaguwar 2010

C’è un punto di contatto tra questo ottimo nuovo album del gruppo canadese e quello dei Black Angels, oltre al fatto di essere usciti alla fine dell’estate. Infatti entrambe le band hanno concentrato il loro sforzo compositivo sulla forma canzone. Ecco allora che i Black Mountain producono il loro disco più curato, attenti anche alle più sottili sfumature sonore. Il punto di riferimento musicale sono sempre i gloriosi primi anni settanta. Ma a onor del vero la psichedelica dei padri fondatori americani è solo uno dei tanti affluenti sonici che formano il fiume in piena di questa pregevole raccolta di canzoni (pensiamo soprattutto all’incrocio vocale maschile-femminile che fa tanto Jefferson Airplane). Stephen McBean ha preso una sbandata per l’hard rock (The Hair Song, Old Fangs, Rollercoaster, Let Spirits Ride, Wilderness Heart), si è invaghito del rock che si abbevera alla dolce fonte del folk (Radiant Hearts e Buried By The Blues che ricordano certe atmosfere di Led Zeppelin III), non ha dimenticato il primo amore hard psych (The Way To Go) e si è scoperto superbo compositore di struggenti ballate (The Space Of Your Mind e Sadie). Il miracolo di questa band (e anche delle altre finora celebrate) è quello di aver usato tutte queste influenze del passato per creare una musica originale, che suona fresca e attuale. Sicuramente il loro album migliore.

VOTO: 28,5/30

Massimo Daziani

18 settembre 2010

L'Italia? Un B-Movie!

Dilatazione - The Importance of Maracas In The Modern Age (Acid Cobra/Audioglobe)

A distanza di quattro anni dal sorprendente debutto "Too Emotional for Maths" tornano i Dilatazione che licenziano per Acid Cobra - sotto la produzione di Paolo Benvegnù - uno degli album più freschi e fieramente liberi del momento, dall'emblematico titolo "The Importance of Maracas In The Modern Age". Post-rock oltre il post-rock, l'album è la rappresentazione perfetta del percorso artistico intrapreso dai ragazzi di Prato, uno sguardo lucido e disincantato sul mondo di oggi (domani?) con la mente rivolta a un passato che non è mai avvenuto. Meno elettrici e languidi rispetto ai precedenti lavori i Dilatazione si presentano sulla soglia degli anni '10 con un album volutamente caustico che privilegia l'elettronica, pone accenti su momenti progressive e divagazioni free-jazz, usa toni da citazionismo b-move non disdegnando ritmiche in stile disco-funk.
Abbiamo fatto due chiacchiere con Patrizio Gioffredi, chitarrista e una delle menti della band, per capire che importanza possono avere oggi le Maracas:


- Mi sembra che siete passati da uno stile più elettrico e dilatatato ad uno più elettronico e tirato; nel vostro ultimo album è venuta meno la vostra proverbiale seriosità e introspezione a favore di un (auto-)ironia più smaccata e sarcastica. Se il vostro sound prima era molto '90's e mogwayano oggi siete più vicini ad una veduta fieramente anni ‘0 che privilegia synth, elettronica e ritmiche funky (penso a band come Battles, Holy Fuck o all’ultimo Tortoise). I tempi cambiano o siete cambiati voi come persone? Insomma quali i motivi del vostro cambiamento?

E’ stato un passo spontaneo, senza premeditazioni. Dopo un album prevalentemente chitarristico ci siamo rimessi in gioco. Ciborio ha comprato una batteria elettronica, gli altri dei synth e abbiamo cominciato a sperimentare in quella direzione. “Too Emotional for Maths” era un disco più di “genere”. Con il nuovo non ci siamo posti limiti. Ed è venuto fuori un qualcosa che spesso guarda al passato, specie a certa musica cinematica degli anni ’70, ma che suona decisamente al passo con i tempi. Quanto all’approccio ironico abbiamo sempre avuto un lato cazzone e divertito che era l’ora di far emergere.
-Quanto hanno influito nel nuovo album le vostre esperienze extra Dilatazione con Ulan Bator (il fratello di Patrizio, Alessio, suona la batteria anche con la band di Cambuzat , nda) e con la John Snellinberg Film, che ha recentemente firmato il cult movie "La Banda del Brasiliano"?
Ciborio (aka Alessio, nda) è diventato ancora di più il motore del gruppo. Zappa diceva che è lo stile del batterista ad “imporre” una direzione alle band. Se escludiamo un paio di brani l’incedere della batteria è incessante. Noi gli siamo andati dietro! Quanto alla John Snellinberg Film un brano dei dilatazione, Exit Music (for a western) è finito in una delle scene migliori de “La Banda del Brasiliano” e firmiamo come Snellinberg pure i video assurdi dei Dilatazione. Stiamo girando il secondo. Il primo è il promo “Pucino”: http://www.youtube.com/watch?v=mpqLteIIfyk
-Due parole sul lavoro che avete fatto insieme a Benvegnù (produttore del disco).
Paolo è un pazzo totale. Scrive cose bellissime, riesce ad essere spudoratamente romantico senza leziosismi o forzature, ha un dono innato per la melodia. Ma nella produzione di “The Importance ...” ha spinto per far emergere con forza il nostro lato cazzone. Brani come “Pucino” o “Il motivetto Tastierini” sono nati in studio, con Paolo che ci riempiva la stanza di tastiere assurde e rideva come un pazzo dietro la consolle del mixer quando ne uscivano fuori melodie bizzarre. Salvo poi regalarci tocchi di classe come il fischio morriconiano e gli archi di “Exit Music (for a Western)”.
-Visto che la vostra musica è fortemente cinetica e cinematografica e visto il fatto che tu sei laureato in Cinema, la domanda sorge spontanea: quali sono gli autori cinematografici di riferimento?
Per “Too Emotional for Maths” la risposta sarebbe stata facile: più che gli autori le attrici meravigliose della nouvelle vague francese (sfido a trovarne di più belle nella cinematografia mondiale), Cassavetes e tutto quel cinema che assomiglia terribilmente alla vita. “The Importance” è un disco eclettico ed ogni brano potrebbe avere un corrispettivo cinematografico. In “Objects in mirror are closer than they appear” c’è pure un campionamento da “Terra in trance” di Roucha, ma il tono generale è quello di un B-movie allucinato.
-In “the importance…” c'è un pò di politica che arriva trasversalmente (pensiamo a titoli come Bettino Krauti e Exit Poll,...). Cosa mi dici a riguardo? Che senso ha la politica oggi nella musica?
Fare cultura in Italia, in qualsiasi forma, è una forma di resistenza. Il nostro approccio è ovviamente sarcastico, ma l’Italia di oggi è veramente uno scenario da B-movie allucinato. La bozza di Exit Poll nacque all’indomani dell’ennesimo exit poll sballato, “Bettino Krauti” ha un campionamento tratto dal discorso di un nostro grande “statista”. “Marx on Mars” è forse il titolo più significativo nell’era Marchionne.
-Come saranno i vostri live set? Ci saranno videoproiezioni o altri effetti scenici oppure privilegerete la semplicità?
I vecchi live erano spessi accompagnati da videoproiezioni. Il nuovo live sarà incentrato sulla musica, ma qualcosa di stupido lo inventeremo sicuramente.
-Alla fine tu ti muovi in diversi campi espressivi: suoni e componi per diverse band, hai partecipato alla realizzazione di vari cortometraggi e lungometraggi e hai pure scritto un libro (edizioni Castoro) sul grande regista Aki Kaurismaki. Allora di non soli bamboccioni è composta la nostra generazione (quella sui 30), si può fare ancora qualcosa di veramente libero e valido in questo paese? O è stata pura fortuna?
Si può fare, ne abbiamo le risorse e i mezzi. Quasi tutti i progetti nei quali sono coinvolto sono progetti che prevedono una “rete” di persone. Penso al network di band Trydog Lab (di cui fanno parte insieme a noi Murièl, Baby Blue, Samuel Katarro, Soloincasa…) o al collettivo Snellinberg. Dobbiamo superare un certo esasperato individualismo, che credo sia stato il principale nemico della nostra generazione. Il problema è vivere di sola cultura. La cultura è come tutti gli altri settori prigioniera di questa politica, del nepotismo, di un immobilismo asfittico. Fare cultura in Italia per chi non è un figlio di papà vuol dire lottare, in primo luogo contro il poco tempo libero a disposizione, tra un lavoro e l’altro. Mentre dove esiste che ne so un’industria discografica i nostri colleghi passano giornate a pensare all’accordo successivo, sorseggiando un drink. E’ una lotta impari, ma non molleremo.

OfO

5 settembre 2010

Like A Natural Woman Parte Seconda

Nina Nastasia – Outlaster – Fat Cat 2010
Per la sua sesta fatica discografica Nina si fa aiutare da un nutrito gruppo di musicisti, tra cui spiccano i nomi di Jeff Parker (chitarra dei Tortoise), del polistrumentista Paul Bryan, qui in veste anche di arrangiatore, di Jay Bellerose alla batteria e di Steve Albini in cabina di regia. Il malinconico folk della Nastasia è delicatamente arricchito dalla presenza di un classico quartetto d’archi e a volte viene movimentato dal discreto intervento di un quartetto di fiati (oboe, clarinetto,clarinetto basso e corno). Il disco, così concentrato su atmosfere struggenti ed eteree, risulta di diafana bellezza . La voce di Nina culla le nostre anime con splendide ballate melodiche come Cry Cry Baby, You Can Take Your Time, Wakes o con brani che profumano di antico come You’re A Holy Man, quasi un madrigale post-moderno, This Familiar Way, caratterizzato da un ritmo di tango impreziosito dall’intervento solistico di un violino tzigano e What’s Out There, drammaticamente espressionista. Un’opera preziosa da custodire gelosamente per l’imminente stagione autunnale.

VOTO: 28/30+

Gemma Ray - It's A Shame About Gemma Ray - Bronzerat Records 2010
Parafrasando il titolo di questo album, si potrebbe dire che sarebbe una vergogna se Gemma Ray stavolta non incontrasse i favori del pubblico: infatti questa sua nuova fatica discografica è molto bella. E pensare che si tratta di un album di covers... Ma Gemma ha classe da vendere e riesce a personalizzare ogni brano, fino a renderlo proprio. Per riuscire in questa non facile impresa, la nostra abbraccia l’estetica della sottrazione: con pochi tocchi di chitarra, con la sua voce evocativa e le percussioni del bravo Matt Verta-Ray, le canzoni acquistano una scarna bellezza che lascia il segno. Gli autori scelti dalla cantautrice americana sono molto diversi tra loro: si passa da standards r&b (una I’d Rather Go Blind ridotta all’osso, cavallo di battaglia della grande Etta James, una dolce Just Because di Lloyd Price), ai Sonic Youth (una stravolta versione di Drunken Butterfly inserita sul tema di Rosemary’s Baby), si va dai Mudhoney “rallentati” di Touch Me I’m Sick, ai Gun Club di una malinconica Ghost On The Highway. Tutti i sedici brani del disco sono piccole perle che compongono una collana sonica di affascinante essenzialità .

VOTO: 28/30

Anaïs Mitchell - Hadestown - Righteous Babe 2010
Ad ulteriore testimonianza dell’ottima salute di cui gode attualmente il talento femminile nella popular music, esce questo stupefacente disco della Mitchell, da considerarsi una vera e propria folk-opera. La sorpresa nasce dal fatto che, viste le precedenti fatiche discografiche della nostra, nessuno poteva prevedere una sua svolta così creativa. La piccola cantautrice del Vermont punta in alto e decide di scrivere nientemeno che un disco sul mito di Orfeo ed Euridice, convocando al suo cospetto fior fior di musicisti. Fanno parte del cast Justin Vernon (alias Born Iver) che è Orfeo, Ani DiFranco nelle vesti di Persefone, un solfureo Greg Brown che veste i panni di Ade, Ben Knox Miller dei Low Anthem che interpreta Ermes, il trio vocale femminile The Haden Triplets, che interpretano il Fato e naturalmente Anaïs che è Euridice. Oltre alla Mitchell, che imbraccia anche la chitarra acustica, ho contato almeno altri quattordici musicisti che partecipano al variegato suono del disco, ispirato alla musica popolare americana degli anni trenta. Infatti Anaïs decide di ambientare la mitologica vicenda nell’America della Grande Depressione, che tanto ricorda quella attuale del dopo 11 settembre. Il disco va ascoltato con attenzione e passione come un unico corpus; ma possiamo almeno citare la splendida ballata Wedding Song in cui Anaïs duetta dolcemente con Justin Vernon, Way Down Hadestown, marcetta strampalata che sembra uscita da una bettola di New Orleans e dove Ben Knox Miller è vero clone vocale di Tom Waits, Our Lady Of The Underground dove spicca la classe della DiFranco, la bellezza degli impasti vocali delle Haden Triplets nella swingante When The Chips Are Down. Eclettismo musicale.

VOTO: 28/30

Massimo Daziani