E’ questa la musica del futuro? La musica che verrà dopo l’era dei robot? La musica che cerca di cancellare le categorie musicali, ma che compie un’operazione culturale molto più profonda del crossover? A tutte queste domande si è tentati di rispondere forse si, ascoltando “After Robots” dei sudafricani BLK JKS. Questa band di Johannesburg (Lindani Buthelezi voce e chitarra solista, Mpumi Mcata chitarra ritmica, Molefi Makananise basso, Tshepang Ramoba voce e batteria) definisce la sua musica come “Rock Dub Psichedelico”. Dietro la definizione di rock c’è l’amore per il metal e l’hard-rock; nascosto tra le pieghe della sigla dub troviamo certamente il reggae che flirta con l’elettronica, ma anche la musica etnica, il funky, il r&b: in definitiva il ritmo che viene dalla madre Africa. Nel definire la loro vicinanza alla psichedelica ci raccontano di una passione per l’improvvisazione, tipica del jazz e del Canterbury. C’è da chiedersi se tutte queste influenze non portino ad un eccesso di eclettismo. Il rischio c’è ma l’energia ,che a tratti si fa rabbia, e la tecnica nervosa dei musicisti riescono a domare la belva sonica di questa musica globale. L’inizio del disco è quasi un manifesto estetico:”Molalatladi” è un pezzo dal ritmo afro-beat che piazza un assolo di chitarra hard-psichedelico. “Banna Ba Modimo” possiede un ritmo da orchestra magrebina con fiati mariachi, mentre il canto e la base ritmica sembrano arrivare da un disco dei Wall Of Voodoo. Con “Standby” i ritmi si rilassano con una ballata canterburiana. “Lakeside”, brano epico con un bel cantato, ci ripropone il loro uso di ritmi sincopati con assolo finale di chitarra. “Taxidermy” è un pezzo hard con profumi spagnoleggianti. Per “Skeleton” ritorniamo alla definizione di rock dub psichedelico: il ritmo dub viene disturbato da iniezioni di hard-rock con chitarra acida. Il finale è affidato alla dolce “Tselane” che in un colpo solo riesce ad unire Ali Farka Tourè e i Tinariwen. Il disco più intrigante di questo 2009.
VOTO: 27/30
Massimo Daziani