“Da Paura”, “Questi sono degli alieni”, “Ammazza come sonano”, “Da stasera posso attaccare la chitarra al chiodo”… Queste, cito alla rinfusa, sono le esclamazioni provenienti dal pubblico sentite tra una canzone e l’altra quando sul palco suonano i Tortoise. Senza fare troppi panegirici lo possiamo tranquillamente ammettere: questi ragazzi dal vivo sono semplicemente mostruosi. Si palesa difatti davanti ai nostri occhi quello che fino a questa sera era solamente ipotizzabile: i cinque ragazzoni di Cicago che portano i nomi di John McEntire, Doug McCombs, John Herndon, Dan Bitney e Jeff Parker nella vita hanno un solo e unico scopo che li accomuna: scandagliare in tutti i modi (i generi) possibili e con qualunque mezzo (strumento) a loro disposizione le infinite vie che portano al (post) rock. Trovato nel palco il luogo ideale per portare a termine la propria missione questo dream team composto da cinque polistrumentisti duttili e formidabili, ha dato vita a un ora e mezzo abbondante di ricerca musicale che non ammette repliche; un trip sonoro dove ogni elemento sul palco, lungi dal compiere un mero compitino, suona e si scambia in continuazione qualsiasi strumento gli capiti a tiro, per dimostrare che la musica non ha confini e traiettorie specifiche. La cellula di partenza è la ritmica. Le due batterie posizionate una di fronte all’altra in bella evidenza nel proscenio del palco ne sono prova tangibile e costituiscono l’intelaiatura di un suono coloratissimo e variegato che nasce proprio dalle combinazioni e dagli incastri dei due strumenti, spesso suonati all’unisono. Ma anche la maggior parte degli altri strumenti sono utilizzati per la loro valenza timbrica e percussiva, siano essi Moog, vibrafoni, xilofoni, tastiere e basso. La chitarra a colorire il tutto con qualche accordo rarefatto, messo nei punti giusti. L’elettronica, spesso preponderante nei dischi, viene invece centellinata a favore appunto di un sound sanguigno e “analogico” che nasce e si sviluppa dalla combinazione e dalla commistione di generi (dal prog al dub) per poi diventare unico e inimitabile. Come c’era da aspettarsi la scaletta premia l’ultimo “Bacons of Ancestorships" mettendo in secondo piano i gioielli provenienti da album come “Tnt” o “Tortoise”, ma questo ci è del tutto indifferente: avessero suonato anche un album intero di Nino D’Angelo saremmo rimasti lì, senza fiato, abbacinati e interdetti dalla forza di una musica che ha oggi valore di aggettivo.
OfO