24 marzo 2010

Corsi e ricorsi


Daniel Johnston – Is and always was – Eternale Yip Eye Music 2009

C’era una volta un ragazzo strano. Ma non di quelli che si dice siano strani, così, tanto per dire. Lui era strano per davvero.
Daniel Johnston è quello che si può chiamare artista. Un tipo con una visione stramba delle cose. E della vita. Un ipersensibile. Un tipo capace di fissarsi con qualcosa, o con qualcuno, e fare di questo qualcuno motivo di dannazione. Ma anche fonte di ispirazione. Così, a distanza di anni, di decenni.
Un amore adolescenziale, dei tempi della scuola, per Laurie. La compagnia di banco ritiratasi dagli studi per sposarsi. Con qualcun altro. La stessa che, inconsapevolmente, spezzò il cuore di Daniel, regalandogli la sofferenza necessaria per le sue canzoni d’amore inespresso.
Di quel tipo di canzoni presenti in tutti i dischi della sua carriera. Fino a questo ultimo del 2009, “Is and always was”. Un titolo che suggerisce la ciclicità dell’esistenza, dei sentimenti, delle esperienze.
E, come molte altre cose che nella vita si ripetono, anche le sofferenze sentimentali riaffiorano. E così le loro cause. Laurie c’è ancora. Almeno così sembra. Potrebbe essere lei la donna di “High Horse”, colei che guarda Daniel dall’alto e non capisce. Non ricambia i suoi sentimenti. I sentimenti di un ragazzo che versa lacrime e vorrebbe fare di lei sua moglie.
Certo, potrebbe essere Laurie. Oppure una donna immaginaria. Una musa, come quelle dei poeti. A questa presenza femminile sono rivolte anche altre canzoni di “Is and always was”. Oltre alla già citata “High Horse”, ci sono “Light of Day”, “Mind Movies”, “Tears”. O forse, più che da una donna, queste canzoni sembrano ispirate da una sofferenza generale, da un dolore derivante dall’amore non corrisposto, dalla solitudine e dall’abbandono.
Ma qui ci sono anche le altre passioni dell’autore. Ci sono gli animali, come in “Queenie the Doggie”, la mania per le registrazioni home-made – Johnston registrava miriadi di audiocassette, che poi illustrava e vendeva personalmente – e la tendenza a tramutare le esperienze quotidiane in immagini cinematografiche. C’è la condizione esistenziale di Daniel, vissuta fra la casa paterna, i palchi underground degli States (fra i suoi ammiratori ci sono niente meno che i Sonic Youth) e gli ospedali psichiatrici.
La recente fatica di questo prolifico cantautore statunitense non offre molto di più rispetto alle produzioni precedenti, se non una resa pulita e piuttosto lineare. Di ascolto senza dubbio piacevole, con piccole perle come “High Horse” e “Queenie the Doggie”.
Questa è l’ennesima prova di un’arte semplice, con cui Daniel racconta la vita dal suo personalissimo punto di vista. La illustra con il fervore e l’innocenza di un bambino. Con il male di vivere di un adolescente. Incompreso dai più, vulnerabile e, per questo, ancora più facile da apprezzare.

M.Mae

Voto: 27/30