Per questa recensione potrei cavarmela con lo scrivere semplicemente: comprate questo disco perché è bellissimo. Confesso che la tentazione di sbrigarmela così velocemente è forte. Fra l’altro, come sempre capita quando ci si trova di fronte ad un gioiello musicale come questo, non è impresa facile descrivere le sue mille sfaccettature. E’ come tentare di dipingere i colori di un diamante puro che cambiano alla minima modificazione della luce. Tenterò comunque nell’ardua impresa.
Cominciamo con il dire che la bellissima voce di Grant e la sua capacità di scrivere splendide canzoni crepuscolari erano già abbondantemente emerse nei dischi del suo gruppo, gli Czars. Tutta la discografia della band di Denver (da Before...But Longer a Goodbye, passando per quell’ultimo splendido cover album che è Sorry I Made You Cry) testimonia già la grandezza del nostro nella duplice funzione di autore e cantante. Ma come succede ai più grandi interpreti della musica rock, spesso è nella veste solista che essi raggiungono il massimo della loro arte. Insomma si potrebbe dire che John Grant sta a Van Morrison come gli Czars stanno ai Them. Il nostro John, orfano del suo gruppo, ha cominciato a suonare dal vivo. Tra le band a cui ha aperto i concerti, figuravano anche i Midlake, splendido gruppo americano irrimediabilmente innamorato del folk-rock britannico. Tali baldi giovani texani sono rimasti stregati dalle canzoni di Grant e hanno deciso di fargli incidere un disco. Il risultato è questo meraviglioso Queen Of Denmark. I Midlake sono stati eccezionali nel creare un suono ricco, curato nei minimi particolari, capace di esaltare la bellezza dei brani e la calda voce di John.
L’inizio del disco è spettacolare, affidato a tre piccoli capolavori. Tc And Honeybear è un distillato di pura malinconia con quell’arpeggio di chitarra folk e l’originale presenza di un soprano lirico. Il piano di I Wanna Go To Marz introduce una ballata di struggente e cristallina bellezza, impreziosita da un arrangiamento d’archi degno del miglior Canterbury sound. Con Where Dreams Go To Die Grant dà il meglio di sé. Si tratta di un brano crepuscolare che spicca per un’interpretazione vocale maestosa che sta tra David Sylvian e Scott Walker. E’ una ballata romantica e commovente che punta dritta a quel muscolo che batte incessantemente nei nostri petti. Basterebbero già queste canzoni a far entrare il disco tra i migliori lavori del 2010. Ma John è in stato di grazia e continua a deliziarci con altre perle come la deliziosa Chicken Bones, che non avrebbe sfigurato in un album del grande Kevin Ayers, o come la beatlesiana Silver Platter Club. Con Caramel e Queen Of Denmark si torna dalle parti di quelle ballate di cui il nostro è impareggiabile maestro e che sono pura espressione di un’anima tormentata. JC Hates Faggots, Sigourney Weaver e la splendida Leopard And Lamb sono ancora canzoni di altissimo livello, arricchite dagli arrangiamenti sontuosi degli ispiratissimi Midlake. I testi di Grant parlano del disagio di aver vissuto la propria omosessualità in una gretta e chiusa provincia americana, narrano di amori disperati, di sogni, di desideri e speranze con toni malinconici, ironici e a volte rabbiosi. Il nostro ha una scrittura comunque diretta, incisiva, talvolta dura, che trasuda sentimento ma rifugge da ogni sentimentalismo. Insomma avrete capito che si tratta di un capolavoro di cui ci ricorderemo anche negli anni a venire. Concludo con un’avvertenza: attenzione, l’ascolto ripetuto di questo disco può dare una deliziosa dipendenza…
VOTO: 29/30 +
Massimo Daziani
P.S. Se vi sono rimasti ancora un po’ di soldi da spendere, non esitate a comprare anche l’ultima fatica dei Midlake, The Courage Of Others (Bella Union). E speriamo che il gruppo texano venga dalle nostre parti in tour con John Grant: potrebbe essere uno dei concerti dell’anno…