Pontiak + White Hills - Verona 28.02.2010 - Interzona
Domenica 28 febbraio all’Interzona di Verona erano di scena i Pontiak, trio di hard rock psichedelico proveniente dalla Virginia e formato dai fratelli Carney (Van voce e chitarra, Lain batteria, Jennings basso). I nostri hanno fatto uscire tre album (l’interessante “Valley Of Cats” , lo splendido “Sun On Sun” e l’ottimo “Maker” del 2009) ed alcuni EP (tra cui “Kale”, registrato insieme ai compagni di scuderia Arbouretum con covers di John Cale, e il recente “Sea Voids”, pubblicati entrambi in vinile). I Pontiak hanno saputo dare nuova linfa alla tradizione del power trio di cui è lastricata la storia del rock (vedi Jimi Hendrix Experience, Cream, Taste, Blue Cheer, Stevie Ray Vaughan & Double Trouble ecc.). Partendo da una base di rock classico i tre virginiani sono stati capaci di reinventare il genere con potenti innesti di riff alla Black Sabbath, spruzzate di blues e suggestive atmosfere psichedeliche anglo-americane (un po’ dei primi Pink Floyd e un pizzico di Doors). Con queste premesse mi aspettavo grandi cose dalla loro performance veronese e soprattutto che suonassero a lungo. In vece il loro set è durato solo 50 minuti! Ecco spiegata la scelta (polemica) di prendere a prestito il titolo di uno storico film rock per questa recensione. Comunque della serata veronese non tutto è da buttare. Vediamo perché partendo dall’inizio…
Domenica 28 febbraio all’Interzona di Verona erano di scena i Pontiak, trio di hard rock psichedelico proveniente dalla Virginia e formato dai fratelli Carney (Van voce e chitarra, Lain batteria, Jennings basso). I nostri hanno fatto uscire tre album (l’interessante “Valley Of Cats” , lo splendido “Sun On Sun” e l’ottimo “Maker” del 2009) ed alcuni EP (tra cui “Kale”, registrato insieme ai compagni di scuderia Arbouretum con covers di John Cale, e il recente “Sea Voids”, pubblicati entrambi in vinile). I Pontiak hanno saputo dare nuova linfa alla tradizione del power trio di cui è lastricata la storia del rock (vedi Jimi Hendrix Experience, Cream, Taste, Blue Cheer, Stevie Ray Vaughan & Double Trouble ecc.). Partendo da una base di rock classico i tre virginiani sono stati capaci di reinventare il genere con potenti innesti di riff alla Black Sabbath, spruzzate di blues e suggestive atmosfere psichedeliche anglo-americane (un po’ dei primi Pink Floyd e un pizzico di Doors). Con queste premesse mi aspettavo grandi cose dalla loro performance veronese e soprattutto che suonassero a lungo. In vece il loro set è durato solo 50 minuti! Ecco spiegata la scelta (polemica) di prendere a prestito il titolo di uno storico film rock per questa recensione. Comunque della serata veronese non tutto è da buttare. Vediamo perché partendo dall’inizio…
Alle 22.30 salgono sul palco i White Hills, trio newyorkese che accompagnerà i Pontiak in tutto questo mini tour europeo. Il loro set, durato circa 45 minuti, è stato caratterizzato da un hard-rock acido dilaniato da tonnellate di effetti propinatici dal chitarrista Dave W. (feedback, wah wah, delay ecc. ). Il loro space-rock, pur avendo dalla sua una buona base ritmica (dove spicca la fascinosa Ego Sensation al basso), alla fine risulta un po’ ripetitivo per l’ eccessiva e monotona dilatazione dei brani. VOTO: 20/30
Finalmente alle 23.20 arrivano i Pontiak e subito una potente marea di energia elettrica si abbatte sul pubblico dell’Interzona. All’inizio, esclusa un’ipnotica versione di “World Wide Prince” dall’ultimo EP Sea Voids, non riesco a riconoscere nessun altro brano. Che sia un’anticipazione del loro prossimo disco? Finalmente arrivano le note della cavalcata elettrica “Blood Pride” e l’ allucinata versione di “Wax Worship” ( il tutto proveniente da Maker) e mi sento di nuovo a casa. Una corda del basso di Lain si rompe e allora c’è un piccolo stop di cinque minuti in cui faccio in tempo a sbirciare e a segnarmi la track-list classicamente appoggiata sul palco. Però, com’è che ci sono solo 10 pezzi? Il dubbio della bufala comincia a serpeggiare... I nostri ritornano, fanno due pezzi e a mezzanotte e un quarto vanno via. Aspetto un po’, ma quando vedo smontare i microfoni mi convinco che tutto è finito. Cerchiamo di vedere almeno gli aspetti positivi di questa performance. Innanzitutto i Pontiak dal vivo sono una vera potenza (e questo lascia però ancora l’amaro in bocca per la brevità del set) e poi, andando sul sito della loro casa discografica Thrill Jockey, ho scoperto che durante il concerto veronese hanno suonato ben 5 brani del nuovo album in arrivo a primavera (per la precisione si tratta di “Lemon Day”, “Young”,“This Is Living”, “Second Sun” e “Beach”) . Il prossimo lavoro si intitolerà Living ed uscirà il 18 maggio. Questi nuovi pezzi ascoltati dal vivo sono sul solco della tradizione del Pontiak-sound e si rifanno all’atmosfere dell’ultimo “Sea Voids” dove è più presente la vena hard-psichedelica, forse un po’ a discapito di quelle aperture folk che avevano caratterizzato gli album precedenti (in particolare Sun On Sun). Vedremo se questa impressione verrà confermata dall’ascolto della nuova fatica dei nostri. Per adesso posso solo dire che se ricapitassero nella nostra penisola concederei loro una seconda possibilità, con la speranza di ascoltare un vero concerto e non una specie di sound check…
Finalmente alle 23.20 arrivano i Pontiak e subito una potente marea di energia elettrica si abbatte sul pubblico dell’Interzona. All’inizio, esclusa un’ipnotica versione di “World Wide Prince” dall’ultimo EP Sea Voids, non riesco a riconoscere nessun altro brano. Che sia un’anticipazione del loro prossimo disco? Finalmente arrivano le note della cavalcata elettrica “Blood Pride” e l’ allucinata versione di “Wax Worship” ( il tutto proveniente da Maker) e mi sento di nuovo a casa. Una corda del basso di Lain si rompe e allora c’è un piccolo stop di cinque minuti in cui faccio in tempo a sbirciare e a segnarmi la track-list classicamente appoggiata sul palco. Però, com’è che ci sono solo 10 pezzi? Il dubbio della bufala comincia a serpeggiare... I nostri ritornano, fanno due pezzi e a mezzanotte e un quarto vanno via. Aspetto un po’, ma quando vedo smontare i microfoni mi convinco che tutto è finito. Cerchiamo di vedere almeno gli aspetti positivi di questa performance. Innanzitutto i Pontiak dal vivo sono una vera potenza (e questo lascia però ancora l’amaro in bocca per la brevità del set) e poi, andando sul sito della loro casa discografica Thrill Jockey, ho scoperto che durante il concerto veronese hanno suonato ben 5 brani del nuovo album in arrivo a primavera (per la precisione si tratta di “Lemon Day”, “Young”,“This Is Living”, “Second Sun” e “Beach”) . Il prossimo lavoro si intitolerà Living ed uscirà il 18 maggio. Questi nuovi pezzi ascoltati dal vivo sono sul solco della tradizione del Pontiak-sound e si rifanno all’atmosfere dell’ultimo “Sea Voids” dove è più presente la vena hard-psichedelica, forse un po’ a discapito di quelle aperture folk che avevano caratterizzato gli album precedenti (in particolare Sun On Sun). Vedremo se questa impressione verrà confermata dall’ascolto della nuova fatica dei nostri. Per adesso posso solo dire che se ricapitassero nella nostra penisola concederei loro una seconda possibilità, con la speranza di ascoltare un vero concerto e non una specie di sound check…
Massimo Daziani
VOTO: 27/30 (alla bravura dei Pontiak dal vivo)
16/30 (alla durata del loro concerto veronese)