(da Blow Up #206, rubrica "Visti & Sentiti" guigno 2015)
L’intro che accompagna l’istrionica entrata di scena
di Jacopo Incani in arte IOSONOUNCANE nel suo stage romano targato Init Club ti
fa subito capire che la serata non lascerà prede. O bere o affogare sembra
suggerirci l’artista sardo, evidenziando il tutto a suon di decibel sparati a
manetta dove risuonano gorgheggi allucinati in stile Tenores de Bitti (che di tanto in tanto torneranno nel corso
della serata qua e là senza fissa dimora, quasi a rimarcare le origini del
nostro) deformati e mostruosamente osceni nella loro lucidità, accompagnati con
delle basi molto vicine allo stile
harsh-noise di inizio millennio. La
intro si tramuta piano piano in Tanca, brano
di apertura del recentissimo e monolitico Die e Jacopo, one-man band per antonomasia, incomincia a spippolare
con rara maestria su console, tastierine, samplers e laptop. Sin dalle prime
melodie risalta subito all’orecchio che la luciferina e peculiare voce del
Nostro in sede live è esattamente come quella che amiamo nei suoi dischi e
questo, con i tempi che corrono (e coi filtri che girano), è un segno più che
apprezzabile. Nel frattempo, sempre dietro la sua postazione, Jacopo sciorina
una ad una, in perfetta sequenza, tutte le canzoni del nuovo album; canzoni
come Buio o Carne vengono riproposte nude e crude
senza troppi stravolgimenti, sempre sul filo tra avanguardia, ridondanza
mistica, spinte progressive e
pop drogato.
("Gorgheggi allucinati in stile Tenores de Bitti" rintracciabili in Tanca)
L’alto volume del locale con l’aggiunta di qualche rumorismo in
più coadiuvano il cantautore a perseguire la missione che si è imposto beffardamente
sin dai tempi del primo omonimo Ep: come
fosse un novello (e sadico) Virgilio, IOSONOUNCANE ci vuol prendere per mano e
ci vuol fare da guida nel tortuoso cammino attraverso l’inferno odierno, ovvero
il nostro mondo attuale, non risparmiandoci di alcuna visione possibile. Per
questa ragione neanche Stormi, quella
che al primo ascolto definiresti una
canzone pop, riesce a conciliarti in toto con la vita, anzi. Nella
scaletta tra Paesaggio e Mandria l’artista si prende la
concessione d’improvvisarsi techno-dj andando
giù duro di cassa dritta trasformando l’Init per qualche decina di minuti in un
piccolo house-club. I bis sono
due e sono affidati ovviamente al repertorio del debut-album: su La Macarena su Roma Jacopo ritrova
tutta quella logorrea e teatralità che avevano caratterizzato il primo disco
(spinte che si sono affievolite un po' nell’ultimo lavoro) e addirittura
abbozza un siparietto brechtiano, comico e agghiacciante al tempo stesso,
dove le vittime designate del suo caustico sproloquio sono le donne.
(Strormi, canzone così Pop che la mia vicina di casa 18enne l'ascolta a manetta, giuro!)
In
chiusura, e non poteva essere altrimenti, l’artista imbraccia, per la prima
volta in tutta la serata, la sua chitarra acustica e intona il suo
capolavoro Il Corpo del Reato,
per il sottoscritto una delle più belle e commoventi canzoni italiane di sempre
sull’essere e il non essere.