Questo splendido esordio dimostra ancora una volta che, quando c’è talento, l’influenza del passato è solo il trampolino di lancio per percorrere originali sentieri sonori.
28 marzo 2010
Folk Connection
Questo splendido esordio dimostra ancora una volta che, quando c’è talento, l’influenza del passato è solo il trampolino di lancio per percorrere originali sentieri sonori.
26 marzo 2010
VII Puntata di Notizie Sullo Stato Della Musica Nell'Età Della Pietra su Fusoradio
Cari amici radioascoltatori. La Signorina Zeta, OfO e Puchos rinnovano l'appuntamento alle 16:30 di oggi 26/03/10 su FUSORADIO con l'ormai mitica ora di buona musica e burle.
Vi ricordo la nostra mail, nel caso qualcuno volesse fare richieste, domande, varie ed eventuali: lostatodellamusica@gmail.com
In anteprima la scaletta odierna:
Archie Bronson Outfit - Bite it & Belive it
Bright Eyes - First day of my life
Gorillaz - Stylo
Departement of Eagles - No one does it like you
The Roots feat. Erika Badu - You got me
Guided by Voice - Quality of Armor
Canadians - The richest dumbass in the world
Notwist - One with the freaks
Maccabees - First love
Joanna Newsom - Easy
Man or Astroman? - Intoxica
Kinks - Picture Book
Acoltateci, mi raccomando
25 marzo 2010
Sono Mistici, ma anche Spietati
Diciamo subito che questo è forse il loro album più ambizioso e meno d'impatto: bisogna quindi dedicare attenzione e più di un ascolto per farsi rapire dalla magia decadente di queste 12 tracce, piene di rimandi e citazioni degne del miglior Battiato. "L'Indaco", la prima canzone, lenta e sospesa, è il biglietto da visita del disco, che ci introduce a "San Francesco" (paragonato a Huckleberry Finn) e alla più che mai De Andreiana title-track (ispirata a un romanzo di Elemire Zolla), in cui "Ci salveremo disprezzando la realtà e questo mucchio di coglioni sparirà e né denaro né passione servirà… forse il presidente non lo sa". "Le Rane" è una storia profondamente autobiografica di amicizia e tempi andati (uno dei momenti più commoventi del disco), mentre "Gli Spietati", in heavy rotation da un pezzo, racconta di chi cerca di vivere bene distaccandosi dalle passioni (una sorta di stoico moderno). E' un ritratto impietoso della realtà, quello che tratteggiano Bianconi & Co., in una "Follonica" tra rifiuti e siringhe, in cui "I Profeti e il Sindacato non parlano più"; raccontano lucidamente di una "Bambolina" ("Brucia modella smagliante sul cartello gigante e il suo triste sesso sia fine a se stesso") e di "Groupies" (da Eva a Jenny, da Francesca a Angela), e come spesso accade nei loro album, è solo nel finale che si aprono alla speranza nella dolcissima "L'Ultima Notte Felice Del Modo",cantata dalla sola Rachele. Da un punto di vista musicale le influenze di Morricone delle colonne sonore di Sergio Leone sono chiarissime e funzionali a dare un senso di ricchezza e compattezza all'album (non a caso in tour saranno supportati da una vera orchestra). Ora non resta quindi che aspettare il live (per me appuntamento il 27 aprile a Firenze) per farsi di nuovo rapire da "I Mistici Dell'Occidente". Come sempre, da applausi a scena aperta.
One
Voto: 30/30
24 marzo 2010
Corsi e ricorsi
Daniel Johnston è quello che si può chiamare artista. Un tipo con una visione stramba delle cose. E della vita. Un ipersensibile. Un tipo capace di fissarsi con qualcosa, o con qualcuno, e fare di questo qualcuno motivo di dannazione. Ma anche fonte di ispirazione. Così, a distanza di anni, di decenni.
Un amore adolescenziale, dei tempi della scuola, per Laurie. La compagnia di banco ritiratasi dagli studi per sposarsi. Con qualcun altro. La stessa che, inconsapevolmente, spezzò il cuore di Daniel, regalandogli la sofferenza necessaria per le sue canzoni d’amore inespresso.
Di quel tipo di canzoni presenti in tutti i dischi della sua carriera. Fino a questo ultimo del 2009, “Is and always was”. Un titolo che suggerisce la ciclicità dell’esistenza, dei sentimenti, delle esperienze.
E, come molte altre cose che nella vita si ripetono, anche le sofferenze sentimentali riaffiorano. E così le loro cause. Laurie c’è ancora. Almeno così sembra. Potrebbe essere lei la donna di “High Horse”, colei che guarda Daniel dall’alto e non capisce. Non ricambia i suoi sentimenti. I sentimenti di un ragazzo che versa lacrime e vorrebbe fare di lei sua moglie.
Certo, potrebbe essere Laurie. Oppure una donna immaginaria. Una musa, come quelle dei poeti. A questa presenza femminile sono rivolte anche altre canzoni di “Is and always was”. Oltre alla già citata “High Horse”, ci sono “Light of Day”, “Mind Movies”, “Tears”. O forse, più che da una donna, queste canzoni sembrano ispirate da una sofferenza generale, da un dolore derivante dall’amore non corrisposto, dalla solitudine e dall’abbandono.
Ma qui ci sono anche le altre passioni dell’autore. Ci sono gli animali, come in “Queenie the Doggie”, la mania per le registrazioni home-made – Johnston registrava miriadi di audiocassette, che poi illustrava e vendeva personalmente – e la tendenza a tramutare le esperienze quotidiane in immagini cinematografiche. C’è la condizione esistenziale di Daniel, vissuta fra la casa paterna, i palchi underground degli States (fra i suoi ammiratori ci sono niente meno che i Sonic Youth) e gli ospedali psichiatrici.
La recente fatica di questo prolifico cantautore statunitense non offre molto di più rispetto alle produzioni precedenti, se non una resa pulita e piuttosto lineare. Di ascolto senza dubbio piacevole, con piccole perle come “High Horse” e “Queenie the Doggie”.
Questa è l’ennesima prova di un’arte semplice, con cui Daniel racconta la vita dal suo personalissimo punto di vista. La illustra con il fervore e l’innocenza di un bambino. Con il male di vivere di un adolescente. Incompreso dai più, vulnerabile e, per questo, ancora più facile da apprezzare.
M.Mae
Voto: 27/30
23 marzo 2010
Bologna, Louisiana
Alle 19.10 entrano sul palco i musicisti del Don Byron New Gospel Quintet: Frank Wilkins al piano e organo Hammond B-3, Brad Jones al basso, Pheeroan Aklaff alla batteria e Dk Dyson alla voce. Don Byron, virtuoso clarinettista newyorkese, ma anche sassofonista, compositore e arrangiatore, è un musicista illuminato, aperto alla contaminazione con le più disparate tradizioni musicali come la musica classica, il klezmer o il funky che flirta con l’hip-hop (come dimostra “Nu Blaxploitation”, ormai un suo classico, pubblicato dalla Blue Note nel 1998) . Ultimamente ha preso una cotta per il rhythm&blues (vedi lo splendido “Do the Boomerang: The Music of Junior Walker “ uscito per la Blue Note nel 2006) e più in generale per l’immensa tradizione della musica afro-americana. Ecco allora la rilettura del gospel da parte del nostro, impegnato sia al clarinetto che al sax tenore. E’ stata un’ora e un quarto di grande musica, molto intensa, partecipata. Infatti lo stesso Byron ha dichiarato che questo nuovo progetto musicale coincide con una crescita della sua fede. Quindi non solo un gruppo di musicisti jazz che suonano gospel, ma anche persone che usano una forma di espressione religiosa. Una menzione speciale all’ottimo Wilkins e alla splendida Dk Dyson che ha dato prova di cosa voglia dire “interpretare” vocalmente un brano.
VOTO: 27/30
Finalmente alle 21.40 comincia il concerto di una vera e propria leggenda della musica nera: Allen Toussaint. Compositore, pianista, cantante, arrangiatore e produttore, Allen, classe 1938, è una figura chiave nella storia musicale di New Orleans. I suoi maestri di piano sono stati artisti come Albert Ammons, Ray Charles ma su tutti il mitico Professor Longhair, omaggiato durante il concerto con una strepitosa medley dei suoi brani più famosi (Big Chief, Tipitina). Da giovane Toussaint si fa le ossa suonando con musicisti epici come Earl King e Fats Domino, poi scopre il fascino del produttore e del musicista turnista e agli inizi degli anni 60 si dedica a questa attività, prima per la casa discografica Minit e poi per la Istant . Così suona, scrive brani e produce per artisti del calibro di Irma Thomas, Aaron Neville e Lee Dorsey. Nel 1965, con il produttore Marshall Sehorn, fonda la Sansu Enterprise che produrrà dischi per Dorsey e i grandi Meters. Agli inizi degli anni 70 il nostro registra a suo nome due ottimi album (“Toussaint" del 1971 e “Live,Love And Faith” del 1972) dove si ascolta la sua meravigliosa ricetta sonora fatta di r&b, soul, funky, rock e pop: il tutto condito con la sua elegante e delicata voce. Allen nel 1973, sempre insieme al fido Sehorn, apre uno studio di registrazione, il Sea-Saint, che gli permette di lavorare con grandi artisti rock come Little Feat, Paul Simon, The Band, Dr. John e le LaBelle. Nel 1975 Toussaint registra il suo capolavoro, “Southern Nights”. Successivamente Allen ha partecipato ad album di altri grandi artisti come Albert King, Etta James, Joe Cocker, Neville Brothers e Elvis Costello (firmando insieme il buon “The River in Reverse” del 2006). Poi nel 2009 esce lo splendido “The Bright Mississippi” per la Nonesuch, prodotto da Joe Henry, con la partecipazione di grandi musicisti come Marc Ribot, Brad Mehlaud, Joshua Redman e lo stesso Byron. In questo disco Toussaint rilegge in maniera elegante classici del jazz (e del blues) nel tipico stile hot che ha reso celebre la sua città. Durante il concerto bolognese sono stati riproposti molti brani di questa nuova fatica discografica (ricordiamo in particolare due splendide versioni di St. James Infirmary e West End Blues). Ma Toussaint, in una giornata completamente dedicata alla sua arte, ci ha voluto regalare un concerto speciale ripercorrendo anche tutta la sua carriera discografica, da Java (strumentale di successo presente nel suo primo album “The Wild Sound Of N. O.” del 1958), a Soul Sister, passando per Mother-In-Law (portata al successo da Ernie K-Doe), fino a Get Out Of My Life Woman (forse il brano più conosciuto del nostro, rifatta fra gli altri da Aaron Neville, Lee Dorsey, Solomon Burke, Paul Butterfield Blues Band). Alla faccia dei suoi settantadue anni, Toussaint è parso in ottima forma, sfoderando un’eccellente tecnica pianistica e una voce ancora dolce e cristallina. Da citare tutti i musicisti della sua splendida band: Herman LeBeaux Jr. alla batteria, Renard Poche alla chitarra, Roland Guerin al basso e in particolare Brian Cayolle al sax (lo stesso Byron presente al clarinetto e sax, lo ha applaudito per uno spettacolare solo durante un’infuocata blues-jam). E dopo più di due ore di musica meravigliosa, tutti in piedi ad applaudire un grande maestro.
VOTO: 30/30
Massimo Daziani
22 marzo 2010
In Esclusiva (mondiale) il nuovo album dei CANADIANS
La generazione 2.0 (che nome del kaiser, SIGH!) è anche questo. Promuovere se stessi e le proprie idee nel modo più insinuante possibile, cercando di creare in tutti i modi possibili e con tutti i mezzi a disposizione nuovi spazi di attenzione nel web per il proprio pubblico (ovviamente pensando di arrivare a quello “potenziale”).
Sentendoci parte di questo nuovo modo di comunicare e pensare, abbiamo accettato con entusiasmo questa operazione creata ad Hoc dai Canadians, gruppo italiano che già ci colpì nel 2007 con l’album di debutto “The sky with no stars”: insieme ad una cinquantina di siti e blog specializzati pubblichiamo qui in anteprima assoluta il player (che trovate qui sotto) con tutte le canzoni del nuovo album dei Nostri dal titolo “The Fall of 60”, in uscita nei negozi di dischi il prossimo 9 Aprile 2010.
Band dal forte impatto "analogico" che si muove tra avanguardie Indie e bordate hard in pieno stile alternative, i Canadians con questo "The Fall of 1960" non deludono le attese e ripartono da dove ci avevano lasciato: puro power-pop senza troppi fronzoli con innesti dance, canzoni piene e dense che non disdegnano l’orecchiabilità e che ci riportano a gruppi seminali come Grandaddy e Weezer, immediatezza sanguigna unita a suprema raffinatezza stilistica e di scrittura.
Ecco qua, giudicate voi:
21 marzo 2010
Kiddycar live@TRAFFIC, Roma
I Kiddycar deludono e sconcertano, mancano di mordente e di appeal, sono rigidi pezzi legno su un palco dove suonano senza aver fatto il soundcheck. Le sfumature e le atmosfere che i "raffinati" Kiddycar ricercano non si coaugulano e finiscono per rimanere in quella terra di nessuno che si chiama sconfitta.
Saper comunicare è fondamentale, se hai una forza ma non sai trasmetterla agli altri appare solo la tua debolezza.
Grazie ai commenti di Paolo, Alice, Luca, Marco & Marco, Andrea & Andrea è stato possibile realizzare questo post.
20 marzo 2010
Profumo di donna parte terza
CD 3: il terzo ed ultimo CD si apre con un altro capolavoro di questo immenso disco: “Soft As Chalk”. Si tratta di una ballata sofferta, venata di blues, avviata dal pianoforte che accompagna una voce fortemente espressiva. All’entrata della batteria e delle percussioni dell’ottimo Neal Morgan, il pezzo si agita ritmicamente, con una Joanna intensa e penetrante come non mai al canto. Nella canzone, come al solito, si alternano momenti più pacati a fasi più mosse, in un andamento sonoro sinuoso che tende comunque sempre all’equilibrio. L’atmosfera che si respira in questo brano riporta ai locali fumosi di Storyville, coniugando in un magico abbraccio vocale Billie Holiday e Joni Mitchell. Se qualcuno aveva la convinzione che l’arpa fosse uno strumento troppo elegante e classico per riprodurre calde blue notes, si dovrà ricredere dopo aver ascoltato la splendida ballata “Esme”, secondo diamante grezzo di questo CD. La voce della Newsom fa pensare ad un candido gabbiano che vola sicuro verso un terso cielo infinito. In “Autumn” le note d’arpa cadono lentamente sulle nostre anime come “ d’autunno sugli alberi le foglie”. Bellissimi gli inserimenti del quartetto d’archi, a volte abbelliti da leggiadri interventi di tromba, trombone e corno. Gli innesti percussivi di Neal Morgan sono semplicemente pura poesia. In questo brano Joanna dà una superba interpretazione vocale adattata ad una canzone dolcemente crepuscolare. Con “Ribbon Bows” si ritorna alla classica ballata per arpa e voce. Lo chef Joanna ci confeziona un dolce fragrante e profumato, guarnito di mandolino, tambura bulgara, batteria e archi. “Kingfisher” ci fa entrare in una atmosfera da fiaba con il suo andamento da madrigale, dove gli strumenti ad arco la fanno da padroni, mentre sullo sfondo si stagliano sofisticati arrangiamenti di fiati. A chiusura di questa monumentale opera, la Newsom mette “Does Not Suffice” che ha come sottotitolo “In California, Refrain”. Quindi Joanna ritorna sui suoi passi andando a riprendere il motivo di uno dei brani più significativi di questo triplo CD. E’ il classico cerchio che si chiude su un lavoro che sembra essere un inno alla creatività infinita: e allora, illuminiamoci d’immenso.
VOTO: 29/30
I TESTI: sbirciando nella biografia di Joanna Newsom, ho appreso che, contemporaneamente agli studi di musica, la nostra ha anche frequentato un corso di scrittura creativa. In questa sua nuova fatica discografica ha sicuramente fatto tesoro di quella esperienza. Il linguaggio dei suoi testi è corposo, denso, con frequente uso di immagini oniriche e di metafore. Rispetto al passato Joanna ha scelto però argomenti più concreti per le sue canzoni: si parla spesso d’amore come in “Easy”, dove protagonista è una donna devota alla persona amata e che sente il peso dell’attesa e della solitudine (If I have my way, I will love you/But one can’t carry the weight/ Or change the fate of two) o come in “Good Intentions Paving Company” dove una lei in viaggio con il suo uomo pensa alla loro difficile relazione (Well, I saw straightaway that the lay was steep). In “Go Long” si parla di una cocente delusione amorosa (Who is going to bear your beautiful children/Do you think you can just stop/When you’re ready for a change/Who will take care of you/When you’re old and dying), mentre in “Esme” c’è un dolce senso di speranza nell’amore (You are the sweetest one/I have ever laid my eyes upon). In “Autumn” la splendida descrizione della natura autunnale è comparata con il suo stato d’animo nel ricordo di un amore passato (But time marches along/You can’t always stick around/But, when the final count is done/I will be in my hometown). Il disco si chiude con “Does Not Suffice (In California, Refrain)”, struggente racconto della fine di un amore (I will pack up my pretty dresses/I will box up my high-heeled shoes). La Newsom non rinuncia comunque alle sue descrizioni visionarie che traggono ispirazione da fiabe e leggende come in “Baby Birch”, “You And Me Bess” o “Kingfisher”, mentre “Have One On Me” è un vero e proprio delirio di libera rappresentazione del pensiero che sfrutta magistralmente la tecnica narrativa dello stream of consciousness. Infine la splendida “In California” è una canzone d’amore un po’ confessione e un po’ un autoritratto (But when you come and see me in California/You cross the border of my heart). Sicuramente la forza espressiva dei suoi testi si lega meravigliosamente all’intensità della sua musica, in un’opera che è una vera e propria rivelazione.
Massimo Daziani
19 marzo 2010
VI Puntata di Notizie Sullo Stato Della Musica Nell'Età Della Pietra su Fusoradio
L'appuntamento è fissato per la data di oggi, 19 marzo, ore 16:30, sempre su FUSORADIO per trascorre insieme un'oretta e ascoltare tanta, ma dico tanta, buona musica.
A voi la scaletta della puntata in anteprima:
Moloko - Pure Pleausure Seeker
Anais Mitchell feat. Justine Vernon & Ani DiFranco - Way Down Hadestown
Yeasayer - One
Los Campesinos - Drop it doe eyes
Sufjan Stevens - Jacksonville
Fine Before You Came - Vixi
Clues - Remember Sever head
CocoRosie - Terrible angels
Hockey - Too Fake
Broken Bells - High road
Nirvana - Ain't it a shame
Television - Venus
Buon ascolto e alla prossima settimana, sempre su FUSORADIO e sempre insieme a Ofo, la Signorina Zeta e Puchos!
14 marzo 2010
Profumo di donna parte seconda
Joanna Newsom - Have One On Me - Drag City 2010
CD 2: continuiamo la recensione del bellissimo e maestoso nuovo album della Newsom partendo dal brano che apre il secondo CD: “On A Good Day”. E’ il pezzo più breve dell’intero lavoro, ma sono un minuto e quaranta secondi di pura commozione dove sottili tocchi di arpa sostengono una voce che si avvicina alla tenue dolcezza della migliore Kate Bush. L’inizio della successiva “You And Bess” colpisce al cuore con quei tocchi d’arpa e le note nostalgiche di una tromba doppiate dalla voce da usignolo di Joanna. Poi il pezzo prosegue intenso e delicato per sola voce ed arpa. Le sorprese non sono finite: infatti il brano si colora delle note di un trombone che richiamano un intero gruppo di fiati. Ma la Newsom rifugge dalla banalità e allora ritorna a cantare di nuovo accompagnata dall’arpa, però adesso la voce viene rinforzata con un coro da brivido. Quando infine dialogando, rientrano trombone e tromba, il brano si arricchisce di vertiginosi intrecci d’arpa e fiati: splendida. Con la canzone successiva, “In California”, Joanna ci dà il definitivo KO. All’inizio il brano, con la presenza di una vocalità intensa che sovrasta un delicato tappeto intessuto di note d’arpa, si avvicina notevolmente allo stile della più ispirata Mitchell. Poi lentamente la canzone si arricchisce degli interventi di altri strumenti (banjo,chitarra acustica,tambura bulgara, batteria, fiati, pianoforte ed archi) con grande cura dei particolari. Dopo il pezzo si impenna vocalmente, per poi placarsi e rianimarsi di nuovo. A questo punto diventa difficile descrivere a parole la complessità dei cambi e degli arrangiamenti: quello che si percepisce è che, pur non essendo lineare, la canzone alla fine lascia all’ascoltatore una meravigliosa sensazione di armonia sonora. Un brano semplicemente perfetto, degno di un Van Morrison nelle sue settimane astrali. Con la dolce “Jackrabbits” ci si riposa cullati dai quattro minuti di una tenue ballata per arpa e voce. “Go Long” è un altro piccolo gioiello. All’inizio ci sono solo l’arpa e la voce, ma nello svolgersi del brano si affiancano altri strumenti a corda (chitarra acustica, banjo, tambura bulgara suonati dall’immenso Francesconi). L’ approccio di Joanna al suo strumento è molto originale, influenzato anche dai suonatori di kora dell’Africa occidentale. Viene allora naturale che in questo pezzo , dove è più evidente l’ influenza della musica africana, sia invitato a suonare Kane Mathis, musicista nato a Seattle, innamoratosi della kora e diventatone virtuoso: gli effetti sonori sono sorprendenti. Il secondo CD si chiude con un pezzo di classico cantautorato folk, “Occident”, con la bella voce della Newsom accompagnata dal piano e a tratti sostenuta da delicati interventi percussivi dell’ottimo Neal Morgan.
VOTO: 29/30
12 marzo 2010
Notizie sullo stato della musica nell'età della pietra V PUNTATA
In questa puntata potrete ascoltare le seguenti canzoni, tutte semplicemente bellissime:
Threatmatics - Don't care
Hjaltalin - Traffic Music
Beastie Boys - So Whatcha Want
Black Heart Procession - The Letter
Wildbird & Peacedrum - Doubt/Hope
Who made who - Tv Friend
Vinicio Capossela e Calexico - La faccia della terra
Blur - Coffee & Tv
Neon Indian - Deadbeat Summer
The Black Mountain - Stormy High
Six Organs of Admittance - Words of Two
Siouxsie and the Banshees - Hong Kong Garden
Buon ascolto e alla prossima settimana!
9 marzo 2010
3D CONTEST: C'è ancora tempo per le iscrizioni (Gratuite)
Torna il concorso nazionale per giovani musicisti: in premio 1.000 euro per strumenti musicali.
Ricordiamo inoltre che la prima edizione del 3d contest (2009) è stata vinta del cantautore Elia Billoni/Dino Fumaretto, che ha già collaborato insieme a Dente in numerose produzioni.
7 marzo 2010
Profumo di donna
CD 1: questa ciclopica opera si apre subito con un grande pezzo come “Easy”, esemplificativo del nuovo modo di concepire la sua musica. Si inizia con gli archi, poi l’ingresso del piano alza il ritmo introducendo anche la batteria. La canzone si placa di nuovo con la sola presenza di piano e voce: già una voce, quella di Joanna, meravigliosa e decisamente più matura , che ricorda un po’ la Joni Mitchell di Blue: e ho detto tutto… Poi il brano cresce ancora per merito della batteria e di un tappeto di archi e fiati meravigliosamente arrangiati dal suo compagno d’avventura Ryan Francesconi. Tutto questo produce un’ondulazione sonica di rara bellezza. Insomma il disco comincia come meglio non si potrebbe, con una canzone splendida dove potersi perdere per sei meravigliosi minuti. Non si fa in tempo a riprendersi dall’emozione di questo splendido pezzo che parte “Have One On Me”, semplicemente un concentrato di storia della popular music in undici minuti, dove si incontrano arrangiamenti per quartetto d’archi, banjo degli Appalachi (in realtà si tratta di una tambura bulgara sempre suonata dal grande Francesconi), echi di brass band, folk dalle parti di “Lady Of The Canyon” e fiati di derivazione Canterbury. Joanna si muove con sorprendente leggerezza in questo proteiforme mondo sonoro, cantando come in un flusso di coscienza. Un altro piccolo capolavoro. Con la successiva “81” si torna dalle parti del suo precedente album Ys, dove regnavano incontrastate cristalline ballate per arpa e voce (che qui si avvicina sorprendentemente a quella di Kate Bush). “Good Intentions Paving Company” allenta la tensione emotiva con una canzone dolcemente agitata dalla presenza della batteria e di un piano percussivo che, a metà del brano, si rilassa sui ritmi malinconici da ballad, per poi ritornare sui toni ritmati dell’inizio con l’arricchimento strumentale di un malinconico trombone e di un banjo arpeggiato. ”No Provenance” ci riporta ai lidi conosciuti della ballata con arpa, impreziosita ancora dalla presenza di un elegante accompagnamento di fiati. Per chiudere il primo CD Joanna sceglie una commovente composizione di intenso lirismo, ”Baby Birch”, dove una voce, particolarmente ispirata, si lascia cullare dalle note antiche dell’arpa. Ovviamente la Newsom non ama le cose semplici e allora il brano verso la fine si anima con innesti di batteria, accenni di chitarra elettrica e arpeggi di mandolino. Semplicemente superba.
VOTO: 29/30
Massimo Daziani
Continua…
P. S.
Per fortuna sabato pomeriggio mi trovavo in quel di Genova; sono entrato in un negozio di una celebre catena che vende libri e dischi e ho trovato il nuovo lavoro della Newsom. Questo non solo mi ha permesso di passare uno splendido week-end musicale, ma mi ha anche concesso di pubblicare la recensione del primo CD proprio l’8 marzo. Non potevo trovare un modo migliore per celebrare la Festa Della Donna. Allora grazie a Joanna e a tutte le donne. Oumou Sangarè, grande cantante maliana ed esponente nella lotta per i diritti delle donne africane, ci ricorda che le donne donano la vita: sono madri, sorelle, figlie, mogli e sono il motore per la pace, attrici silenziose nella battaglia contro le disuguaglianze …
5 marzo 2010
Notizie sullo stato della musica_ IV PUNTATA
Owen Pallett - Keep the dog quiet
MgMt - Kids
Pedro the Lion - April 6, 2039
Lykke Li - Dance Dance Dance
Spoon - got nuffin
Oratio - Una Parte di Me
Sebastian Tellier - Divine
Toti Poeta - Lo stato delle cose
Fugazi - Merchandise
Clap Your Hands Say Yeah - Let the cool goddess rust away
Pizzicato Five - Twiggy twiggy twiggy
Canned Heat - On the road Again
4 marzo 2010
Mariposa in veste acustica
Ho comprato un pacco di pensieri dal venditore ambulante e adesso mi sento pesante perché scadevano ieri.
Ve la ricordate? Viene da Portobello Illusioni, primo disco dei Mariposa, del 2001.
Per le celebrazioni dei 10 anni di attività, il gruppo sta tornando in tour riproponendo l'album in versione acustica. Ho avuto il piacere di vedere una data domenica scorsa, all'Arteria di Bologna. In apertura, Dino Fumaretto, cantautore un po' surreale che la Trovarobato sta producendo ("La vita è breve e spesso rimane sotto", in uscita in questi giorni).
I cari, vecchi Mariposa non deludono mai. E che piacere risentire certe canzoni. Dal vivo non hanno fatto "Sanremo", il nuovo singolo uscito in occasione di quel carrozzone di festival che ci ritroviamo, ma l'hanno fatta ascoltare al pubblico! Divertente, poi, l'intervista fatta a Michele Orvieti e Enrico Gabrielli a Salotto Muzika, e cioè le serate dell'Arteria dedicate a gruppi italiani con cui si cerca di scambiare due chiacchiere. Gabrielli ha raccontato un po' il suo Sanremo dello scorso anno, facendo sorridere il pubblico con la loro dichiarata (ma poi vera? sicuramente verosimile) intenzione di partecipare all'edizione di quest'anno. Poi, sai com'è, lì ci si arriva solo con le conoscenze, quindi nisba. Dal canto mio, penso che se ci andassero ne guadagnerebbe la musica italiana e tutti quelli che hanno televotato Scanu e il trio di Pupo.
Altra novità dal mondo Mariposa è il progetto solista del cantante, Alessandro Fiori. Uscirà con album tutto suo.
Intanto, dalle valli dell'indie nostrano sale l'attesa per un disco che tutti dicono sia stupendo, ma che nessuna ha ancora ascoltato. Quello degli A Toys Orchestra. Staremo a vedere.
Scheggia
3 marzo 2010
The Great Rock ‘n Roll Swindle… in Verona
Domenica 28 febbraio all’Interzona di Verona erano di scena i Pontiak, trio di hard rock psichedelico proveniente dalla Virginia e formato dai fratelli Carney (Van voce e chitarra, Lain batteria, Jennings basso). I nostri hanno fatto uscire tre album (l’interessante “Valley Of Cats” , lo splendido “Sun On Sun” e l’ottimo “Maker” del 2009) ed alcuni EP (tra cui “Kale”, registrato insieme ai compagni di scuderia Arbouretum con covers di John Cale, e il recente “Sea Voids”, pubblicati entrambi in vinile). I Pontiak hanno saputo dare nuova linfa alla tradizione del power trio di cui è lastricata la storia del rock (vedi Jimi Hendrix Experience, Cream, Taste, Blue Cheer, Stevie Ray Vaughan & Double Trouble ecc.). Partendo da una base di rock classico i tre virginiani sono stati capaci di reinventare il genere con potenti innesti di riff alla Black Sabbath, spruzzate di blues e suggestive atmosfere psichedeliche anglo-americane (un po’ dei primi Pink Floyd e un pizzico di Doors). Con queste premesse mi aspettavo grandi cose dalla loro performance veronese e soprattutto che suonassero a lungo. In vece il loro set è durato solo 50 minuti! Ecco spiegata la scelta (polemica) di prendere a prestito il titolo di uno storico film rock per questa recensione. Comunque della serata veronese non tutto è da buttare. Vediamo perché partendo dall’inizio…
Finalmente alle 23.20 arrivano i Pontiak e subito una potente marea di energia elettrica si abbatte sul pubblico dell’Interzona. All’inizio, esclusa un’ipnotica versione di “World Wide Prince” dall’ultimo EP Sea Voids, non riesco a riconoscere nessun altro brano. Che sia un’anticipazione del loro prossimo disco? Finalmente arrivano le note della cavalcata elettrica “Blood Pride” e l’ allucinata versione di “Wax Worship” ( il tutto proveniente da Maker) e mi sento di nuovo a casa. Una corda del basso di Lain si rompe e allora c’è un piccolo stop di cinque minuti in cui faccio in tempo a sbirciare e a segnarmi la track-list classicamente appoggiata sul palco. Però, com’è che ci sono solo 10 pezzi? Il dubbio della bufala comincia a serpeggiare... I nostri ritornano, fanno due pezzi e a mezzanotte e un quarto vanno via. Aspetto un po’, ma quando vedo smontare i microfoni mi convinco che tutto è finito. Cerchiamo di vedere almeno gli aspetti positivi di questa performance. Innanzitutto i Pontiak dal vivo sono una vera potenza (e questo lascia però ancora l’amaro in bocca per la brevità del set) e poi, andando sul sito della loro casa discografica Thrill Jockey, ho scoperto che durante il concerto veronese hanno suonato ben 5 brani del nuovo album in arrivo a primavera (per la precisione si tratta di “Lemon Day”, “Young”,“This Is Living”, “Second Sun” e “Beach”) . Il prossimo lavoro si intitolerà Living ed uscirà il 18 maggio. Questi nuovi pezzi ascoltati dal vivo sono sul solco della tradizione del Pontiak-sound e si rifanno all’atmosfere dell’ultimo “Sea Voids” dove è più presente la vena hard-psichedelica, forse un po’ a discapito di quelle aperture folk che avevano caratterizzato gli album precedenti (in particolare Sun On Sun). Vedremo se questa impressione verrà confermata dall’ascolto della nuova fatica dei nostri. Per adesso posso solo dire che se ricapitassero nella nostra penisola concederei loro una seconda possibilità, con la speranza di ascoltare un vero concerto e non una specie di sound check…
1 marzo 2010
Come esorcizzare la sfortuna
@ CIRCOLO DEGLI ARTISTI, ROMA 27/02/2010
Aprono la serata i Cosmetic, gruppetto emergente che, per avere un disco all'attivo e molta pubblicità nel web, dal vivo si rivela piuttosto scarso. Voce e tiro che mi hanno fatto pensare alla scena italo punk anni '90, con qualche riffetto in più, buttato là quasi a caso. Va beh..ancora molto giovani.
Il vero concerto comincia con l'arrivo dei cinque ragazzacci di Milano, acclamati da un pubblico entusiasta. Il tempo di un saluto e via con Sfortuna, uno dopo l'altro vengono suonati tutti i pezzi del disco, più una piccola chicca inedita "Il ripescaggio" (vista l'euforia non assicuro sul titolo preciso). Non c'è quindi traccia del passato nella scaletta, di cui il presente non può essere che un'evoluzione semplicemente cantata nella nostra lingua e questo mi dispiace un po'. Non sembra fregare un bel niente invece alla folla che suda, poga e canta a squarciagola ogni singola parola.
L'emozione è palpabile anche tra i musicisti, gente che porta avanti da, oramai, una decina di anni la propria idea di fare musica, che comprende anche dei rischi, quando decidi di mettere in download gratuito il disco dal giorno della sua uscita e te ne freghi del normale iter vendendolo solo ai concerti. Ma questo è il momento in cui c'è da raccogliere il seminato in anni di lavoro, concerti così ti ripagano di tutta la sfortuna, veritiera o di copertura. Jacopo canta in mezzo al pubblico che gli ruba il microfono, lo abbraccia, lo spinge, lo sorregge e lo fa arrivare in fondo alla sala con uno stage diving senza fine.
I testi sono dei pugni allo stomaco ma cantati tutti insieme si trasformano ed è la loro forza liberatoria a prevalere. Dopo questi 45 minuti scarsi di concerto vedo ovunque facce inebetite ma sorridenti..la magia ha funzionato di nuovo.
30/30
Fox