3 ottobre 2010

Visual concert al Palladium: Sbiadita Prevedibilità


Ci sono serate in cui ti presenti davanti al luogo dove assisterai alla performance in questione e ti aspetti qualcosa in particolare, perché conosci gli artisti, il genere musicale, il canovaccio che solitamente segue questo genere di serate ma come in ogni occasione ti senti pronto ad essere stupito, piacevolmente stupito, perché la musica serve proprio a questo.
Passeggio verso il Palladium dove vedrò Visual Concert: un piatto musicale che dovrebbe unire composizioni colte ed installazioni visive che accompagneranno l'ascolto in maniera quasi impercettibile. Questo è ciò che mi aspetto ma dentro di me spero in qualcosa di più, in qualcosa che mi stupisca come ogni volta che prendo posto sulle poltrone colorate del Teatro di Garbatella.
Con questa voglia latente entro, mi siedo e guardandomi in giro ascolto la voce fuori campo che dà indicazioni sullo svolgersi della serata: "Progetto Visual Concert con musiche di Kaija Saariaho e Jean-Baptiste Barrière della durata di 75 minuti con un intervallo di 10. Nel pregarvi di spegnere i cellulari vi auguriamo un buon ascolto".
"Eccoci. Ci Siamo. Sono Pronto."
La prima parte è dedicata a tre composizioni di Kaija Saariaho, che attraverso il connubio di musica per solisti e video accolgono gli spettatori nell'ingresso della performance. Petals è il primo passo nella serata, con Vittorio Ceccanti che col suo Violoncello graffia un po' le tende del teatro ma senza troppa convinzione. Il secondo brano è Changing Lights, musica per violino (Duccio Ceccanti) e soprano (Maria Elena Romanazzi), con video in stile cielo karaoke. Ultimo pezzo della prima parte è Six Japanese Gardens per le percussioni di Antonio Caggiano che si piazza dietro ai suoi timpani con fare di colui che stupirà la folla mentre sullo schermo alla sua destra passano immagini di stagni e ninfee comuni agitate dal ritmo del musicista. All'intervallo mi blocco a pensare: " in fin dei conti non è male, però…si può fare di più. Dai magari il meglio deve ancora venire".
La seconda parte inizia con un'idea molto particolare di Jean-Baptiste Barrière, colui che ha curato oltre a questa opera tutte le immagini dello spettacolo, dal nome Violance, riproposizione in musica ed immagini dell'episodio biblico della Strage degli Innocenti. La voce narrante è quella di un bambino che in francese racconta questa storia ispirata al vangelo di Matteo, al quadro di Pieter Bruegel il vecchio e alla poesia di Maurice Maeterlinck. Le parole sono accompagnate da immagini di boschi innevati e da un violino straziato che ne inframmezza le partiture.
Il gran finale è Lichtbogen sempre della compositrice finlandese Kaija Saariaho che attraverso la musica della Contempoartensemble e le proiezioni del solito Jean-Baptiste Barrière rappresenta le evoluzioni visive e sonore dell'aurora boreale.
Alla fine della serata mi ritrovo a fare i conti con un giudizio abbastanza contrastante: bella musica, musicisti di spessore, proiezioni video rispettabili. Tutto però troppo distaccato, freddo, poco omogeneo e soprattutto il sapore di qualcosa che poteva generare una esplosione di colori ma che si è invece tradotto in un semplice azzurro cielo, sicuramente rilassante, ma molto poco emozionante.
Ecco, forse proprio questo è il punto. Ho assistito a uno spettacolo dagli standard validi ma con pochissimi picchi di stupore come sarebbe lecito aspettarsi nello svolgimento di un festival sperimentale come il RomaEuropa. Conoscendo l'evoluzione della video arte e della visual music e mi sarei aspettato una performance sullo stile dello Spectra di Ryojo Ikeda o di 555 Kubic, naturalmente nel limite di una serata in teatro.
Invece mi sono ritrovato intrappolato in un canovaccio che seguiva pedissequamente le regole di uno spettacolo da scuola di musica per artisti anziani e finti colti con nessuna digressione, divagazione sul tema o il minimo esercizio di stile, né tanto meno uno straccio di amalgama fra gli ingredienti.
Semplicemente compitino, preso e portato a termine con un finale da applausi scroscianti dal sapore di "È così che si fa?"

Tòmmy