30 novembre 2010

Memories of The Pulpit... November

Sleep In è il moniker dietro al quale si nasconde, nel senso più ampio del termine, il diciannovenne Hamish Duncan da Sydney, Australia. Fermi, non è la solita storia del giovinotto faccio la mia cosa nella casa tutto loops e samples. Il progetto Sleep In ha già un paio di macigni self-released dietro le spalle (poi editi per acclamazione dalla Enemies List). Nei sotterranei del nuovo Under Earth non c'è infatti nulla di precostituito. Noise, drone, dubstep, field recordings, industrial, post-rock, shoegaze, sono solo singoli e imponderabili ingredienti di quel caliginoso amalgama che provoca morboso interesse, recidivo ascolto, definitiva dipendenza. Sleep In - Never Enough  (qui tutto l'album in streaming)



Dici donne e post-punk e scrivi Kill Rock Stars records. Ai profani basta citare quattro nomi: Sleater-Kinney, Delta 5, Bikini Kill e... Erase Errata. Ecco quindi Damaged, lato A di un 7" appena sfornato dall'etichetta di Olympia (la città dello stato di Washington, non quel triste pennuto che si aggira dalle parti di Roma ultimamente). Le tre riot girls di San Francisco tornano a battere un colpo dopo 4 anni dall'imprescindibile Nightlifelasciando leggermente in disparte la loro schizofrenia art-punk-funk per strizzare l'occhio a riverberi e cupe sonorità anni '80. Preludio di una svolta o singolo episodio? al prossimo attesissimo album la sentenza.  Erase Errata - Damaged


In due parole, Shipping News. Mi rifiuto di fare le presentazioni. E' uscito questa settimana il nuovo disco One Less Heartless to Fear. In due gesti: un pugno al volto, diretto come la bellezza dei suoi brani, e un pugno allo stomaco, indigesto come la storia che c'è dietro: la malattia di Jason Noble. Questo disco è anche il simbolo della sua lotta e della solidarietà degli amici musicisti e dei fans. The Delicate è il singolo che corre inesorabile, imponente e avaro di mezzi termini, su binari che portano in questo episodio verso un'altra band di culto che risponde al nome di Shellac. Shipping News - The Delicate 



Tim Kinsella non è indie, è l'indie dell'indie. Tim Kinsella era indie quando l'indie nemmeno esisteva. A metà anni 90, nascosto tra le grandi pieghe della rivoluzione rock, c'era il culto dei Cap'n Jazz e c'era l'emo-core. Sì, l'emo... quello originale, che nulla c'entra con i Dari e relativi bimbominkia. Dopo i Cap'n Jazz, dal 1997 a oggi, quel pazzo di Tim Kinsella ha continuato a regalarci il suo genio, prezioso come un diamante dalle mille sfaccettature, con i Joan Of Arc.... più di dieci album all'attivo e svariati 7", di cui uno appena sfornato: Joan of Arc - Meaningful Works


Diego
(http://www.the-pulpit.com/ )

28 novembre 2010

Emozioni d’Autunno parte seconda

Elton John And Leon Russell – The Union - Mercury 2010. Già vedo la smorfia di disgusto di qualche lettore indi(e)sponente con commento del tipo “che palle quel trombone di Elton John”. E probabilmente il nostro amico neanche conoscerà l’esistenza di Leon Russell. Allora cominciamo col dire che nella sua lunga carriera sir Elton ha prodotto ottimi dischi (soprattutto all’inizio), che è un eccellente pianista, un grande cantante e un eccezionale performer. Certo ha fatto anche tanta paccottiglia pop, a dir poco imbarazzante (ma chi è senza peccato scagli la prima pietra…). Da giovane il suo mito era Leon Russell, pianista, produttore, agitatore musicale e capobanda dei Mad Dogs & The Englishmen (gruppo che accompagnò Joe Cocker in una storica tournée di grande successo, nell’anno del Signore 1970). Questo barbuto musicista è stato fondatore, insieme a Dennis Cordell, della Shelter Records, molto attiva negli anni 70 e responsabile della pubblicazione di alcuni album eccellenti (pensiamo ai primi quattro mitici dischi di JJ Cale, alle prime due uscite di Tom Petty & the Heartbreakers, a una manciata di piccole perle blues di Freddy King e alle ottime fatiche discografiche dello stesso Russell, uscite nei primi anni 70). Pian piano il music business si è dimenticato di lui. E adesso il ricco e “annoiato” Elton ha sentito il bisogno di incidere un album sincero insieme con il suo anziano e malato maestro, rispolverando un sound 70, lontano anni luce dal suo attuale patinato e vendutissimo pop. Pare che la casa discografica gli abbia invece proposto un Christmas album alla camomilla e che lui li abbia letteralmente mandati a fare in quel posticino… Vi dico subito che il disco è molto bello, intenso, di gran classe. Non è insomma la solita operazione nostalgia che lascia il tempo che trova: qui ci sono delle splendide canzoni (per esempio una ballata meravigliosa come Gone To Shiloh, con un cammeo da brividi dell’immenso Neil Young o una “ruspante” If It Wasn’t For Bad). Il piano dei due musicisti la fa da padrone e a volte sposta il sound verso quel mix di boogie, r&b, country e gospel che è il tratto distintivo dello stile di Russell (basta ascoltare l’energica Hey Ahab, la giosa Monkey Suit, l’intensa There’s No Tomorrow, la cavalcata honky-tonk A Dream Come True, il “country pop” Jimmie Rodger's Dream). Non mancano le dolci ballate pianistiche di cui Elton è maestro e che finalmente, grazie anche all’abile produzione di T-Bone Burnette, riescono ad avere una bellezza essenziale, distante assai dagli eccessi glicemici a cui il nostro ormai ci aveva abituato (Eight Hundred Dollar Shoes, The Best Part Of The Day, Never Too Old [To Hold Somebody]). Se aggiungiamo che al disco partecipano grandi musicisti come Brian Wilson, Booker T. Jones, Jim Keltner, Marc Ribot, il gioco è fatto… L’amico ritrovato.
Voto:28/30

Dirtmusic - BKO - Glitterhouse 2010. A dire la verità questo splendido disco ha allietato gran parte della mia estate; ma a novembre, forse per via di un tempo umido e burrascoso, è ritornato a scaldare il mio cuore. Chris Eckman, mente dei Walkabouts, Hugo Race, irrequieto musicista e storico ex componente dei Bad Seeds, Chris Brokaw, all’inizio con l’ottima meteora sonora Codeine e poi membro dei grandi Come, nel 2007 hanno deciso di creare una nuovo progetto musicale chiamato Dirtmusic. Il loro primo, omonimo album, pubblicato dalla Glitterhouse, vede la luce alla fine di quell’anno; si tratta di un disco di etereo folk rock debitore dello sterminato patrimonio della musica popolare americana (ottima una ipnotica versione di un classico come Morning Dew). All’epoca poco considerato, è sicuramente un’opera da riscoprire. La svolta dell’unione artistica di queste tre menti musicali è l’invito al Festival In The Desert che si svolge ad Essakane nel Sahara maliano. Qui socializzano con i Tamikrest, nuovi paladini di quell’affascinante tuareg rock (tra suggestioni blues, derive psichedeliche e ancestrale musica sahariana) che ha nei Tinariwen i suoi padri fondatori, e si innamorano della musica di questo popolo itinerante. Il matrimonio stilistico non è forzato, visto che i Dirtmusic nel loro esordio sposavano l’estetica di un folk del deserto. A questo punto è quasi naturale che i nostri, un anno dopo, vadano a Bamako nei Bogolan Studio fondati da Ali Farka Touré per produrre Adagh, ottimo esordio dei Tamikrest, e registrare questo BKO, accompagnati dai giovani musicisti tuareg. Lasciati da parte i pareri scandalizzati di certi “puristi musicali” (brutta razza che ha sempre bazzicato la critica musicale...), si può tranquillamente affermare che la musica più bella spesso nasce dalla contaminazione tra generi e culture (tutta la musica “nera”, dai Caraibi, al Sud America, dal Nuovissimo Mondo, alla madre Africa, fino all’immensa tradizione afro-americana, è un inno all’ibridismo musicale...) e questa fatica discografica dei Dirtmusic lo conferma. Allora è bello perdersi in rock blues sporcati dalla rossa sabbia del Sahara (Black Gravity, Ready For The Sign, Desert Wind, Lives We Did Not Live) o farsi trasportare dalle dolci e ipnotiche note di ballate folk, che mischiano in maniera suggestiva atmosfere africane (meravigliosa l’accoppiata tra banjo e strumenti a corda della tradizione maliana in Unknowable e soprattutto nello splendido strumentale Niger Sundown). Ma la quadratura del cerchio è la riproposizione di una splendida All Tomorrow’s Parties, che in un solo momento unisce i Velvet Underground ad Ali Farka Tourè, la languida decadenza rock dei primi con la dolce malinconia della musica del fiero e solitario popolo del deserto. Futuro Primordiale…
Voto 28,5/30
Massimo Daziani

26 novembre 2010

NSSDMNEDP web-radio, puntata 9

Buongiorno a tutti. Oggi alle 16,30 i nostri 3 amicici preferiti saranno nuovamente live from Torpigna sulle frequenze di Fusoradio per la nona puntata del nostro programma radiofonico!
Nella rubrica "Memorie di The Pulpit" si parlerà di Joan of Arc, mentre la nostra inviata Sara London ci parlerà di come è andato l'incontro al Pub con lo scoiattolo.
In scaletta: Rubik, cLOUDDEAD, Lisa Germano, Micah P. Hinson, Elvis Costello,....

25 novembre 2010

Perle da un recente passato - Vol.1

Siccome da un punto di vista prettamente nostalgico amiamo prenderci a martellate, inauguro qui ed ora la trasposizione scritta della rubrica web radio 'perle da un recente passato', aka cosa resterà di questi anni zero. L'intento è anche (soprattutto?) quello di riportare alla luce dischi passati immeritatamente in sordina.

Black Pony Express - Love in a cold place (Bang! records, 2006)
Fascino indomito del cartonato, di tratti scuri che disegnano vette stilizzate, di un titolo curioso e quantomeno attraente. Una copertina dimessa che ha rubato la scena tra le tante colorate, un nome sconosciuto tra le solite facce note. La vera sorpresa è arrivata poi, dentro. L’impatto è immediato e devastante, già alle prime note dolenti di un blues molto poco redento, nonostante il titolo. I Black Pony Express vengono dalla terra dei canguri, ed è ancora stupore. Come se la lezione di Cave da quasi trent’anni a questa parte non ci avesse insegnato niente. Se non altro non ci ha insegnato come certi debutti possano avere una maturità così sconcertante. Di riferimenti e nomi se ne possono fare tanti: dai Black Heart Procession ai Dirty Three passando per i cigolanti Sparklehorse degli esordi. Tutto inutile, sarebbe solo una lista di nomi alla rinfusa tale da non rendere giustizia al pregevole amalgama di suoni ed atmosfere che si snodano attraverso le dieci tracce di Love in a Cold Place. Dopo un brano di apertura che non lascia spazio ad equivoci c’è giusto il tempo d’una breve boccata d’ossigeno. Poi sono struggenti ballate che graffiano il cuore, riflessioni strumentali che scavano a fondo, imponenti passaggi rock noir nel furore pieno e malinconico di una tormenta di terra rossa del deserto australiano. Non è tutto: da est ed ovest giungono echi ed influenze musicali partiti dal midwest americano a scavalcare oceani e lambire inaspettatamente le cime dei balcani, per arrivare fino a Melbourne. E’ forse tutto. E se queste parole raccontano poco il consiglio partigiano è quello di lasciare spazio all’ascolto di questo notevole esordio, per far sì che esso si riveli in tutto ciò che è. Folgorante.

voto 30/30

Diego

24 novembre 2010

Il Listone Dello Zio One... AnD dOn'T fOrGeT tO sHaKe YoUr AsS!!! vol. 2



Dopo 5 giorni passati cazzeggiando amabilmente a Barcellona, quello che mi si è presentato è stato un ritorno lavorativo quantomeno devastante... Nella capitale catalana, tra chilometri e chilometri a piedi passeggiando senza meta per strade fatte e rifatte nel tempo, ho fatto il mio solito passaggio in Carrer Dels Tallers, la strada dei negozi di dischi, dove sono riuscito a spendere una cifra considerevole in vinili (e gli sforzi che ho fatto per non spendere almeno il doppio...) tra ristampe e originali...
Tra le cose più assurde che ho trovato (e che per vergogna non ho comprato) c'era il 45 giri di Toto Cutugno che cantava "Solo Noi" in spagnolo, il 33 Giri "Bandido" dei La Bionda in spagnolo più altre varie ed eventuali... Quello a cui non ho però saputo resistere è stato un doppio vinile contenente i più grandi successi di Carlos Gardel, tra cui - ovviamente - la meravigliosa "Por Una Cabeza", uno dei pezzi maggiormente usati per il cinema (tra gli altri, in "Schindler's List" e - soprattutto - in "Profumo Di Donna")...

Stasera al Circolo degli Artisti arrivano in concerto i The Pains Of Being Pure At Heart… Sono 2 anni che li aspetto e finalmente stasera li vedrò dal vivo… Tra i tanti motivi per cui sono stato letteralmente conquistato dai 4 New Yorkesi, oltre l’aspetto puramente musicale e un nome decisamente geniale, c’è anche il loro gusto per le uscite in vinile… Così, dopo un album, un EP e un Mix, l’ultima loro trovata è stata il 45 giri (verde) di “Say No To Love“, primo singolo estratto da “Belong”, il loro secondo album che vedrà la luce a inizio 2011… E il 14 Dicembre uscirà anche il secondo singolo “Heart In Your Heartbreak“…

Una delle rivelazioni del 2009 sono stati senza dubbio gli inglesi The XX. Con il loro omonimo album d’esordio hanno fatto incetta di premi e riconoscimenti in tutto il mondo. Questa è una personalissima versione di “You Got The Love” di Florence & The Machine…

Doris Svensson, in arte Doris, nasce a Goteborg in Svezia nel 1947. Ha solamente 23 anni quando incide quello che è il suo più grande successo, ovvero l’album “Did You Give The World Some Love Today Baby“, che riesce ad imporsi anche in Europa ed America… Insomma, 40 anni e non sentirli…

Di anni ne ha invece 78 l’inglese Petula Clark, una delle cantanti di maggior successo del Ventesimo Secolo, con i suoi più di 70 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. Questa è la famosissima “Downtown“, usata recentemente anche in uno spot (oltre che nella terza serie di “Lost”)…

E’ americana invece Dolly Parton, la Regina della Musica Country (25 singoli piazzati in testa alle classifiche americane e 41 album nella top ten in 50 anni di carriera). Nota per la sua “voce da soprano, un pungente e talvolta sguaiato senso dell’umorismo e un look particolarmente appariscente, ottenuto anche attraverso numerosi interventi di chirurgia plastica” (wikipedia), è ad ogni modo una delle icone dell’ultimo secolo. Tantissimi i suoi successi (non dimentichiamo che è sua la prima interpretazione di “I Will Always Love You”), tra cui “Jolene” (che la rivista “Rolling Stone” inserisce tra le 500 canzoni più belle di sempre), “9 To 5” e “Tie A Yellow Ribbon“. P.S. A proposito di chirurgia…. la Pecora Dolly le deve il nome! Un mito assoluto!

Tutto ciò succede all’estero: in Italia invece negli anni 60 c’è un avvocato astigiano, un certo Paolo Conte, che, parallelamente all’attività forenze, si diletta a comporre canzoni che puntualmente diventano enormi successi cantate dai vari Adriano Celentano (“Azzurro”), Patty Pravo (“Tripoli 69″) e molti altri. Nel 1968, un suo brano arriva a Caterina Caselli che innamorandosene immediatamente, riesce a vincere le resistenze dell’autore, che la leggenda vuole non fosse estremamente soddisfatto del risultato… Il pezzo è “Insieme A Te Non Ci Sto Più“, uno dei monumenti della nostra canzone, reinterpretato da chiunque e usato in decine e decine di film…
Tra le decine di reinteprepazoni è d’obbligo segnalare quella di Ornella Vanoni e – tra le più recenti – quella di Giusy Ferreri

Torniamo a cose più recenti, precisamente nel 2002, quando The Notwist pubblicano “Neon Golden”, ovvero quello che è ad oggi il loro capolavoro indiscusso… Difficile scegliere qualcosa (anche perchè “Consequence” l’ho già segnalata tempo fa), allora mi butto su “Pilot“… Ah… Finalmente ho trovato anche il vinile…

E alla fine mi sono deciso a prendere anche il vinile di “Merriweather Post Pavillion”, ultimo album degli Animal Collective, con una copertina allucinogena quanto basta basata sui lavori dello psicologo giapponese Akiyoshi Kitaoka. Questa è “Summertime Clothes“, dopo ogni ascolto scopri un dettaglio a cui non avevi fatto caso…

Tra le uscite del momento anche il nuovo de Le Luci Della Centrale Elettrica; oggi è il momento di “Una Guerra Fredda“, tra citazioni di Dario Fo e “portiere sbattute che da lontano sembravano degli applausi“… Io credo che Vasco Brondi sia un fottuto genio… Ecco, l’ho detto!

In attesa di recuperare il “Cofanetto Illustrato Della Giovinezza”, edizione limitata in 500 copie (su vinile) del “Sussidiario Illustrato Della Giovinezza” dei Baustelle (ripubblicato quest’anno per il decennale) contenente 2 nuove versioni di “Gomma” e “La Canzone Del Parco”, ecco un altro capolavoro firmato Bianconi… “La Canzone Di Alain Delon“, tratto da “La Moda Del Lento” del 2003…
E in tempi di Bunga-bunga, di escort, stelle e stelline, non possono certo mancare le “Groupies“… O no???

Si chiama invece “Good Things” il nuovo album di Aloe Blacc, uno degli artisti americani più interessanti del momento… Il disco, una esplosiva miscela di funky-soul, è tra i miei ascolti del momento… E con un singolo come “I Need A Dollar” non si può che applaudire…

E a proposito di funky, ecco uno che ha vinto qualcosa come 25 Grammy e un Oscar… Sto parlando ovviamente di Stevie Wonder (cantante, autore, musicista, produttore, arrangiatore e chi più ne ha più ne metta), ovvero la Storia con la S maiuscola della Musica degli ultimi 50 anni… Nonostante abbia da pochi mesi compiuto 60 anni, ha inciso il primo disco nel 1961 e scritto una quantità immensa di capolavori… Tra le sue cose meno conosciute, una di quelle che mi piace di più è “Blame It On The Sun“, tratta da “Talking Book” del 1972…

Chiudiamo questa puntata con l’immancabile momento trash della giornata… Qui si va sul classico con il pezzo che ha consegnato Cristiano Malgioglio all’immortalità… Non è ne “L’Importante E’ Finire” nè “Ancora, Ancora, Ancora”, bensì la maestosa “Sbucciami“…. Alla prossima….

One

23 novembre 2010

Emozioni d’Autunno

Andremo a parlare di alcuni dischi che stanno scaldando il mio cuore in questa umida stagione: è come sfogliare un album di foto antiche, color seppia, che ricordano il dolce e malinconico paesaggio autunnale…

Dylan LeBlanc - Paupers Field - Rough Trade 2010

Dylan Le Blanc, 20 anni, sembra quasi un predestinato: è figlio d’arte (il padre Kenny cantante e chitarrista, noto tournista dei Muscle Shoals) ed è stato allevato a pane e musica, frequentando fior fior di musicisti; anche il suo nome è musicalmente impegnativo e ha un qualcosa di profetico… Suggestioni musicali a parte, bisogna riconoscere che questo suo esordio è molto bello, così dolce-amaro, debitore del suono country-rock di padri fondatori come Neil Young, Townes Van Zandt e Graham Parson. Il ragazzo è pure alla ricerca di una personale cifra stilistica, anche se non mancano le influenze dei nuovi “tradizionalisti” del genere (pensiamo ai primi Wilco, a Bonnie “Prince” Billy e soprattutto ai Fleet Foxes). Lo strumento principale del disco, a parte la chitarra acustica del nostro, suonata in modo impeccabile, è sicuramente la pedal-steel, che ammanta tutti i brani di una bellezza crepuscolare. Il ragazzo predilige i toni sommessi della country-ballad come in If Time Was For Wasting, che sembra uscita dalle session di Harvest, come nell’intensa If The Creek Don’t Rise, impreziosita dal controcanto niente meno che di Emmylou Harris (altro mito di Dylan). Emma Hartley, forse il brano più bello del disco, e l’ottima 5th Avenue Bar ci mostrano un LeBlanc figlio del suo tempo, con un violoncello che rende attuale il suo sound. Infine ci piace citare anche la ballata da cowboy, da beautiful loser della sterminata border-line tra USA e Messico, che risponde al nome di Death Of Outlaw Billy John, con un delizioso arpeggio di banjo e mandolino. Un artista decisamente promettente. Back to the Future…

Voto: 28/30

The Duke And The King – Long Live The Duke And The King – Loose Music 2010

Forse Simone Felice, ormai ex batterista dei Felice Brothers, augurando lunga vita al suo nuovo progetto musicale, condiviso con Robert “Chicken” Burke, ha voluto riferirsi al mezzo miracolo sanitario di cui è stato recentemente protagonista: infatti il nostro ha da poco subito un delicato intervento chirurgico a cuore aperto, che gli ha salvato la vita… Il debutto dei The Duke And The King, (Nothing Gold Can Stay, Loose Music 2009) è stato uno dei dischi che ho ascoltato di più nel passato autunno, affascinato da un sound tra folk-rock, rimandi al migliore Cat Stevens (la voce di Simone), qualche tentazione psichedelica e fragranze soul. Per questa nuova fatica discografica il duo si amplia a quartetto con l’ingresso del batterista Nowell Haskins (trascorsi funky con George Clinton, come del resto lo stesso Chicken Burke) e della violinista Simi Stone. Entrambi i nuovi membri del gruppo hanno anche una bella voce. Il sound del disco è simile al suo predecessore, ma molto più sbilanciato verso il soul. Basti ascoltare Shaky, con quei coretti che fanno tanto Motown, Right Now, esemplare per i suoi impasti vocali che vedono coinvolta anche la brava Simi, Have You Seen It, perfetto mix tra ricordi West Coast e feeling soul, ma soprattutto l’ottima Hudson River, cantata da Haskins, che ci riporta alle soul ballad di scuola Stax. Per il resto abbiamo una manciata di quelle belle ballate country rock venate di malinconia, che sono un tratto ormai caratteristico del songwriting di Simone: l’iniziale O’ Gloria, impreziosita dal controcanto gospel soul di Haskins, la “classica” You And I, la splendida Shine On You con armonica dylaniana e neri vocalizzi del solito Haskins. C’è spazio anche per Simi Stone in No Easy Way Out, cantata con energico piglio country rock e in Children Of The Sun, sognante canzone venata di psichedelica, dove la nostra si fa valere come violinista. Il finale è affidato alla lunga e intensa ballata elettrica Don’t Take That Plane Tonight di sfumata ispirazione alternative country. Allora lunga vita al Duca e al Re!

Voto: 28/30

Massimo Daziani

19 novembre 2010

NSSDMNEDP web-radio, puntata 8

Oggi alle ore 16,30 consueto appuntamento con la puntata di NSSDMNEDP sulla piattaforma web-radio FUSORADIO! Grandi ospiti, grandi rubriche, grande musica! Aspettatevi di tutto dai nostri 3 web-jay che sveleranno il vincitore dello speciale Contest per vincere il biglietto dei Sikitikis. Mi raccomando potete continuare a votare fino alle ore 17,25!
In scaletta tra i tanti: General Elekrtiks, Jesus Lizard, Sondre Lerche, Daft Punk,...

Buon Ascolto!

18 novembre 2010

Il menestrello dalla faccia pulita e un'idea per capello


Sufjan Stevens - All Delighted People/The Age of Adz (Asthmatic Kitty, 2010)

Non è ancora nato nella scena musicale attuale un artista tanto ambizioso e capace di mettersi in gioco sonoramente come Sufjan Stevens, mai soddisfatto delle sperimentazioni già prodotte, sempre capace di farci restare di sasso. Non a caso le idee del musicista vengono spesso considerate al limite del possibile (per esempio il progetto di registrare un album per ognuno dei 50 stati del Nord-America).
Era infatti dal 2005 (anno di Illinois) che mister S. non registrava un disco che segue le "regole del mercato", preferendo buttarsi in esperimenti tipo il riarrangiamento del secondo disco, suite orchestrali per la colonna sonora del documentario sul tema della strada che lega Brooklyn al Queens e canzoni natalizie.
Il vero e proprio ritorno è segnato da queste due opere l'EP All Delighted People e l'album The Age of Adz (lanciate quasi simultaneamente) che non proseguono il percorso di pop grazioso e orchestrale iniziato con il (grandissimo) Illinois, perchè in questi 5 anni l'artista sembra aver accumulato, e messo da parte per l'occasione, ancora una dose di stravaganza in più.
Prendiamo l'Ep, per cominciare, 8 pezzi, aperti da una title-track di 12 minuti, una seconda versione della stessa traccia di 8 minuti e un brano conclusivo di 17 minuti. Il tutto per una durata di un'ora circa. Chi se non Stevens può uscirsene con un EP da un'ora?!!
Le lunghe canzoni di All Delighted People ci mostrano un lato dell'artista più sentimental-prog (come nella spettacolare “Djohariah”) ma anche dolcemente acustici(“Heirloom”).

Altra storia è The Age Of Adz con un'ambizione di base che sembra quella di unire la musica classica da orchestra al pop frenetico dei sintetizzatori (i 25 minuti di "Impossible soul", con ospite Shara Worden aka My Brightest Diamond, mostrano al meglio l'anima del disco).
Ci sono pezzi che rimandano al passato come “Futile Devices”, mentre “Too Much” è puro elettro-pop, altre invece, partono semi-acustiche per scaricarsi nel dissacrante synth-pop ("Vesuvius").
E' un'esposione creativa allo stato puro dove aleggiano idee sulla fine del mondo (la copertina è di Royal Robertson, illustratore schizzofrenico in fissa con l'Apocalisse), potrà quindi non piacere a tutti e lasciare confusi i vecchi fans. Non riescere a battere il suo predecessore ma l'ottima produzione e il cambio di rotta a livello sonoro lo rendono un tassello in più nel processo sperimentale dell'indie-cultore Sufjan.

28/30

Fox

16 novembre 2010

Vinci un biglietto per il live dei Sikitikis + Luminal @ Init Roma, venerdi 19 Novembre

Notizie sullo stato della musica in collaborazione con Fusoradio mette in palio un biglietto per il live dei Sikitikis all'Init di Roma questo venerdi (20 novembre), opening act affidato ai Luminal.
Verrà estratto a sorte un nome fra quanti di voi risponderanno correttamente alla seguente domanda:

Per quale etichetta indipendente hanno inciso i primi due album i Sikitikis?


Mandate le risposte con il vostro nome e cognome entro le 17,15 di venerdi 19 novembre al nostro indirizzo mail:

Il vincitore verrà comunicato alla fine della puntata del nostro programma web-radio in onda venerdi alle 16,30 su Fusoradio e ricontattato tramite mail o telefono.

In bocca al lupo

15 novembre 2010

Convergenze tra le strade di confine


Giant Sand - Blurry Blue Mountain (Fire Records 2010)

Ecco Howe Gelb con la sua aria stropicciata e quella meravigliosa svogliatezza. Rieccolo con un disco quasi classico, ma si badi bene, di un classicismo multilaterale, rispetto a se stessi e rispetto alla tradizione americana: il che potrebbe anche sembrare un'eresia visto l'atteggiamento obliquo con cui i Giant Sand hanno sempre affrontato il folk-rock-country di confine, così come gli splendidi dimissionari ex-Giant Sand ora Calexico, John Covertino e Joey Burns.

Allora Gelb riprende in mano tutto il suo stile e lo asciuga di un acustico che spiazza, con qualche tremolo e chitarre pizzicate creando una serie di brani che si avvicinano al cantutorato e al country più puro – ovviamente rispetto a se stessi - mentre la batteria avanza con il suo incedere classico, già da Covertino in poi. I colori sono gli stessi di sempre, anche se effettivamente Blurry Blue Mountain è un po' meno cupo del precedente Provisions, mantiene gli stessi andamenti malinconici e un po' dondolanti.

Rispetto a altri episodi è maggiormente assente la vena sperimentale noise e punk, e avanza una pura scrittura da storyteller immersa in tappeti puro stile tex-mex fatti di chitarre toccate, sfiorate ricercate e scelte con gusto: rari appunto gli episodi elettrici, tranne la leggermente crescente Monk's mountain, Thin line man, quasi rock'n'roll – e chissà come la canterebbe Nick Cave - e Brand New Swamp Thing, mentre emergono alcune ballate panistiche un po' jazz, come Chunk of Coal e Time Flies. Forse non l'episodio migliore, non il più fresco e innovativo, ma di sicuro un album molto maturo con cui dimostrano, dopo aver tentato per molto tempo di stravorgerla e di darne una propria urgente e caotica versione, quanto hanno imparato dalla tradizione.
Voto 27/30

Matteo Innocenti


12 novembre 2010

My name is Prince and I am Funky

Prince Live @ PalaLottomatica
(Roma 02.11.2010)


Erano più di venti anni che il genio di Minneapolis non veniva a Roma. Allora me lo persi perché facevo il militare (cose che capitavano ai maschietti nati nella seconda metà dell’altro secolo…). Nella mia classifica personale dei live da non perdere, quello di Prince era al primo posto. E stavolta non mi sono lasciato sfuggire l’occasione.

Diciamo subito che il principe Rogers Nelson, presentatosi in splendida forma fisica, ha fatto un concerto spettacolare. All’inizio mi è un po’ dispiaciuto non vedere sul palco una bella sezione fiati; la band era composta da tre coriste (Shelby Johnson, Liv Warfield, Elisa Dease), ben tre tastieristi (il maestro di pianoforte Renato Neto, Morris Hayes e Cassandra O'Neal), un batterista (un superbo John Blackwell), una bassista (l’attraente Ida Nielsen) e la funanbolica chitarra del genio. Ma in questo concerto Prince, della sua più che trentennale carriera, ha nettamente privilegiato gli anni 80 e quindi è stato coerente nello scegliere una band che avesse le caratteristiche soniche di quegli anni (leggi prevalenza delle tastiere). Le mie perplessità iniziali sono state spazzate via quasi subito dalla poderosa ondata sonica che sua maestà ci ha riversato con un incipit sismico. Infatti si parte con Let’s Go Crazy, Delirious e 1999. A quel punto il PalaLottomatica è già una bolgia e sotto il palco si balla sfrenatamente. Quando poi Controversy sfocia nel mitologico hit funky-dance Le Freak degli Chic, i seimila fans presenti si sono letteralmente scatenati. La successiva Angel, intensa ballad di Sara McLachlan , affidata alle ottime doti vocali della corista Shelby Johnson, ci ha dato un attimo di tregua chinesiologica. Poi le danze sono continuate grazie all’irresistibile ricetta sonora del principe fatta di contagioso groove funky, iniezioni di energia rock, spruzzate di psichedelia , ritmi dance e dolci aromi soul. Assistere ad un concerto di Prince è come ripercorrere ad altissima velocità tutta la secolare storia della musica afro-americana. Così è facile ritrovarsi a danzare sulle note di Let’s Work e di Kiss, splendido brano tributo al maestro James Brown, o a cantare a squarciagola Purple Rain, mentre le volte del PalaLottomatica si colorano di viola e le note del suo assolo di chitarra si trasformano in affilate saette che vanno a centrare quel muscolo che è bersaglio esclusivo di Eros. Mr Nelson si muove sinuoso e balla con classe; la sua voce è sempre gestita con grande destrezza e come maestro di cerimonia non conosce rivali. His name is Prince the one and only!


Voto: 30/30

Massimo Daziani


P. S.: Questo concerto faceva parte del 20 Ten tour 2010. 20 Ten è il titolo del recente disco che Prince ha pubblicato allegandolo a riviste tedesche, scozzesi, inglesi e belghe... Era lecito aspettarsi la riproposizione live di alcuni dei brani presenti in questa sua ultima fatica discografica. E invece mancu pi nenti! Nobili stravaganze...

P.S. II: Dopo 22 pezzi, quando si erano già accese le luci e il PalaLottomatica era quasi vuoto, il principe della sregolatezza si è ripresentato sul palco e ha fatto una versione di Peach, pare tiratissima. Avrete capito che io, come molti altri, ero già uscito…Ma porca escort!

11 novembre 2010

Lovely Pop


General Elektriks - Good City For Dreamers (Discograph/Quannum Projects, 2010)


Sotto il nome d’arte General Elektriks si nasconde Salters 'RV' Hervé, tastierista francese dal talento indiscutibile, appassionato di organetti vintage e altre diavolerie. In quel di Parigi collabora con Femi Kuti e DJ Mehd, poi si trasferisce a San Francisco nel 1999 dove viene a contatto con la crew Quannum, gente come Blackalicious, Lyrics Born e DJ Shadow, tanto per intenderci. Da questa esperienza nasce il suo primo album solista Cliquety Kliqk del 2003, stretto antenato dell'ultimo formidabile lascito Good City For Dreamers, album che fonde melodie pop, hip hop beats, arrangiamenti perfettamente elaborati ad uno scintillio tutto digitale ma dal sapore vintage. Un disco fieramente Pop e fatto “di canzoni”, appiccicosissime che ti stendono dal primo all’ ultimo pezzo e delle quali è impossibile non invaghirsi sin dal primo ascolto. Hervé è un ragazzo innanzitutto innamorato del suo synth, suonato nel disco in ogni modo, forma e colore, invaghito del basso e della cassa/rullante di matrice Funky da colonna sonora anni '70, anestetizzato dai new romatics d’inizio ’80 e cresciuto con il French Touch che fece la fortuna di tanti artisti suoi conterranei sul limitare dei '90! Il tutto però suona tremendamente 2010.

Il culo non ti sta fermo neanche con il vinavil quando passa nel lettore il groove killer di Take Back The Instance, la prima traccia del lotto. Il fischietto di Raid The Radio non te lo lavi neanche con il vetriolo e il suo ritornello è la cosa più autenticamente pop che si sia udita negli ultimi anni. In You Don't Listen siamo nei territori del Beck di Midnite Vultures. A Hervè piace princeizzarsi spesso e volentieri (You Don’ t Listen) e dà voce a sinuose e lisergiche ballatone come Cottons of Inertia, Little Lady ed Engine Kick tre pezzi intimisti, accattivanti e sessofonici (scusate il neologismo, ma ci sta tutto) che sono come mele caramellate, orchestrati alla perfezione, in cui il synth/piano - che sembra un clavicembalo stile Fiery Furnaces - e gli archi tengono le redini delle canzoni. David Lynch Moments scortica gli Eurytmics e, incupendoli, li rende paradossalemte più solari. Illuminante la traccia con cui si chiude l’album Rebel Sun, pregna di sonorità che vengono direttamente dagli anni ’50 e diventano iper contemporanee sotto le grinfie di Salters.

In giro se ne sono scritte tante su questo album che sebbene sia passatista, volutamente piacione, leccato, ammicante e registato alla perfezione, è e rimane un gran bel disco. “Troppo mainstream”, “Esageratamente pop e easy listening” si legge qua e là. Così mainstream che non è per niente facile da trovare in giro e la sua uscita è passata totalmente in sordina. Tanto per fare esempi, vogliamo forse fare una colpa ai Coen di L'uomo che non c'era per aver fatto un film troppo "perfetto" e algido o ai Beatles perchè erano troppo pop?
Good City For Dreamers finirà dritto e di diritto nelle nostre classifiche degli album del 2010. Se volete fatecene pure una colpa, ma prima guardate e ascoltate Raid The Radio

Voto 29/30

OfO + Eleonora Zeta Zarroni

10 novembre 2010

Il Listone Dello Zio One... AnD dOn'T fOrGeT tO sHaKe YoUr AsS!!! vol. 1


Carvernicoli buongiorno a tutti... Dopo un lungo e colpevole ritardo ho il piacere di ricominciare a scrivere su questo splendido blog rinnovato nella forma (sulla sostanza non c'è mai stato niente da dire)... Perciò la rubrica settimanale che terrò si chiama "Il Listone Dello Zio One... AnD dOn'T fOrGeT tO sHaKe YoUr AsS!!!"
Metto le mani avanti dicendo che - essendo io sostanzialmente musicalmente onnivoro (coprofago come qualcuno dice) - unirò sacro e profano, alto e basso, classifica e reperto archeologico, senza una logica che sia una, solo seguendo il momento e il mio mood... Quindi se storcerete il naso ne avrete ben donde... o forse no... Anche perchè non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace e a volte anche le cose non belle che normalmente non piacciono, in alcunimomenti ci stanno proprio bene...

A due anni di distanza dall’esordio, da quelle “Canzoni Da Spiaggia Deturpata”, che fecero più male di un cazzotto in un occhio, per quella poetica scarna, violenta, marcia e disperata, ecco che Vasco Brondi esce oggi con il suo secondo album “Per Ora Noi La Chiameremo Felicità”… Come accade a tutti i “casi” artistici, critica e pubblico lo aspettano al varco… I detrattori per stroncarlo, chi invece lo ha visto come un novello De Andrè o Gaetano per amarlo una volta di più… Il risultato non chiarisce il dilemma… Nel senso che questo nuovo capitolo non smuove di una virgola il percorso artistico del ferrarese… Atmosfere cupe, ansiogene, pochi accordi dilatati e martellanti, tanti archi (tra i musicisti, oltre al solito Giorgio Canali, anche Rodrigo D’Erasmo, Stefano Pilia e Enrico Gabrielli)… I testi sono caratterizzati dai soliti cut-up che tanto hanno fatto la fortuna del primo album, ma continuano a lasciare il segno e – spesso – a commuovere… Per il sottoscritto “Le Luci Della Centrale Elettrica” brillano ancora e lo faranno ancora per molto… Dopo avere presentato una quindicina di giorni fa il primo singolo “Cara Catastrofe”, ecco “Quando Tornerai Dall’Estero” e, dal primo album, la meravigliosa “Per Combattere L’Acne“...

A distanza di 4 anni dal pluripremiato “Back To Black”, finalmente si hanno notizie (artistiche) di Amy Winehouse….Niente imminenti nuovi a bum all’orizzonte, ma l’incisione di un brano per il tributo a Quincy Jones “Q:Soul Bossa Nostra”. Il pezzo in questione è “It’s My Party” di Lesley Gore, prodotto appunto da Jones, che nel 1963 stazionò 2 settimane in testa alle classifiche americane… Come sempre, grandissima Amy…

Altra voce interessante nel panorama pop-soul inglese è quella di Duffy, vera rivelazione di 2 anni fa con l’album “Rockferry” (4 milioni di copie vendute nel mondo di cui 1,5 solo in Inghilterra)… Torna ora con il suo nuovo singolo “Well Well Well“, già diventato un tormentone, grazie anche allo spot della Tim…

Un altro che sta letteralmente monopolizzando le programmazioni radiofoniche delle ultime settimane è James Blunt con la sua nuova “Stay The Night“… L’ex soldato inglese – solitamente votato a un cantautorato buono per tagliarsi le vene – stavolta sorprende e stupisce per la sua freschezza, nonostante risulti abbastanza inspiegabile la scelta di uscire con un pezzo perfettamente estivo (con tanto di video a base di spiaggia, surf e tramonti estivi) a ottobre inoltrato…

Del cantautore americano Ryan Adams abbiamo già parlato in passato… E’ uno dei più prolifici ed interessanti artisti della sua generazione ed ha inciso alcune tra le cose migliori degli ultimi 15 anni…. Qui è alle prese con “Wonderwall” degli Oasis e il risultato è da brividi…

Grazie alle segnalazioni (in questi casi grazie Facebook) del Dott. Ciuffoletti, mi sono imbattuto ieri in un disco che mi era sfuggito, ovvero “Fields” degli svedesi Junip (il gruppo di Jose Gonzalez – già segnalato in passato per la sua splendida cover di “Heartbeats” dei connazionali The Knife). Primo album dopo 2 EP, il disco contiene alcune perle di sicuro valore come la notturna “Don’t Let It Pass“…

A 4 anni di sistanza dall’ultimo – trascurabile – “Fly”, nuovo album anche per Zucchero, che a proposito di “Chocabeck” (questo il titolo) dice che è “Un concept album, almeno nelle mie intenzioni: omogeneo nei suoni e nelle tematiche, racconta una giornata estiva, dall’alba al tramonto, in un paese che potrebbe essere quello della mia infanzia“… E in effetti è veramente un album sulle radici, come testimoniato da “Il Suono Della Domenica“, per molti il vero manifesto dell’album…

I Duck Sauce sono un gruppo composto dai famosi Dj americani A-Trak e Armand Van Helden. Formatisi nel 2009, ahnno all’attivo 2 singoli e 1 Ep… Ma soprattutto un successo come “Barbra Streisand” che – dopo aver conquistato Australia e Nord Europa, sta arrivando anche da noi! And DoN’t FoRgEt tO sHaKe YoUr AsS!!!

Come suonerebbero le canzoni di Elvis Presley se il Re del Rock le interpretasse oggi per la prima volta? E’ la domanda che si è fatto Erich Van Tourneau, prima di imbarcarsi nell’impresa di produrre ad arrangiare, aiutato da Hugo “Wedge Montecristo” Bombardier, “Viva Elvis – The Album”, in cui in studio alcuni tra in più grandi successi del re del rock rivivono una seconda giovinezza grazie a un sapiente uso delle nuove tecnologie! “Suspicious Minds” forse suonerebbe così… e non sarebbe affatto male!!!

I salernitani Denise (capitanati dalla brava Denise Galdo), dopo una discreta gavetta, sono finalmente approdati alla corte della nuova etichetta di Gianni Maroccolo, la Al-Kemi, che ha prodotto il loro album d’esordio “Dodo, do!”. Indiepop giocoso e raffinato, con influenze sixties tra Bacharach e – come nel primo singolo “Burning Flames” Petula Clark… Bravi!

Tra le tante novità di questo periodo merita una segnalazione la colonna sonora di “Figli Delle Stelle“, ultimo film di Lucio Pellegrini con Claudia Pandolfi, Giorgio Tirabassi, Giuseppe Battistom, Pierfrancesco Favino e Fabio Volo. Il tema principale, interpretato da Irene Grandi, è una versione 2010 dell’omonimo successo di Alan Sorrenti del 1977.

Chiudiamo questa newsletter con 2 pezzi italiani di un po’ di tempo fa, precisamente 26 anni…. Il primo è la versione 2010 di “Sonnambulismo” (già segnalata a marzo) dei Canton, gruppo meteora prodotto da Enrico Ruggeri, con cui si fecero notare a Sanremo giovani nel 1984. Dopo questo esordio, i due proseguirono poi con qualche tentativo itralo-disco, prima del ritiro dalle scene… Oggi mi sono imbattuto in questo nuovo singolo… Avolte ritornano??? Certo che è ancora una signora canzone…

L’ultimo brano di oggi invece è “Acqua E Sapone” degli Stadio… Sempre 1984, tastiere eighties a manetta e un tiro assolutamente eccellente… Tra le loro cose migliori di sempre e tra gli episodi memorabili degli ottanta italiani! Alla prossima!!!

One

8 novembre 2010

Don't Worry Four Tet

Four Tet live @
Circolo degli Artisti
(Roma,
04.11.2010)






Parliamoci chiaro, la serata non mi è dispiaciuta.
Potete scommettere che se Four Tet è a Roma, o da qualsiasi altra parte mi trovi a passare, Io sarò sotto al palco. In ogni location, in qualsiasi situazione, senza i documenti, senza cena, con le ammaccature post-disarcionamento per una guida troppo distratta.
Arrivo all'esterno del luogo che ospiterà la performance dell'artista dalla collaborazioni multiple e capisco che nonostante la serata capitolina sia strabordante è proprio quello che ho scelto io l'evento che ha stravinto all'urna delle alternative. Fila al botteghino (dove campeggia la scritta sold out a frustrare le aspettative di chi era venuto tranquillo di trovare un angolino da dove poter gustare una cena così pregiata) e pienone nel giardino del Circolo degli Artisti. Un paio di birre, una sigaretta e due chiacchiere in attesa dell'ora in cui l'artista prenderà il posto del dj set che lo precede. Quando l'atmosfera comincia a frizzare mi infilo dentro la sala, al solito affollatissima, catalogando le mie aspettative come se fossero i tappi di sughero delle bottiglie stappate in occasioni speciali. Storielle, come quella di ritrovare i suoni dell'artista che anche Susumu Yokota aveva scelto per la sua compilation Lo, o i picchi che avevo ammirato nei suoi cd, a mio parere, migliori (Pause e Rounds), o ancora le atmosfere di quello splendido pezzo che è Sleep, Eat Food and Have Vision. Purtroppo nulla di tutto ciò si materializza, la serata comincia con Love Cry e quando arrivano la voce bianca sintetizzata di Angel Echoes capisco già che la missione della serata sarà quella di sopperire con qualche espediente alla scomoda situazione di stare in un posto inondato di musica per le gambe quando le gambe non ti servono neanche per stare in piedi, vista la densità. Niente No More Mosquitoes, niente My Angel Rocks Back and Forth, in questa sua esibizione lo sperimentatore sonoro londinese della Domino sembra vestire i panni Berlinesi tanto la sua musica somiglia ad una produzione BPitch Control. Agitato da tappeti quasi house o da ritmi pseudo acid-lounge con suoni inesistenti il pubblico si esibisce in uno scatenato ballo dello spermatozoo, riuscendo a muovere solo la testa. Quando Four Tet cerca di alzare il livello intellettivo del suo campionatore suonando This Unfold capisco che la platea, viziata da un inizio sparato, non ne vorrà sapere di virtuosismi. Fischi del pubblico: niente da fare caro Kieran questi vogliono la carica. Il ragazzo è intelligente lascia partire Worth, anche senza Burial, quindi senza ingresso introspettivo. Spirit Finger, questo pezzo sì che mi piace, ma forse senza la cornice le orecchie non ne riconoscono la fragranza. Sembra l'ultimo pezzo, ma invece no, mi devo sorbire anche un bis che mi annoia più di tutto il concerto passato. Serata da presenzialisti, pochissimo altro, bella la sensazione di aver ascoltato un artista dal potenziale infinito che per qualche oscuro motivo ha deciso per una serata di fare il caratterista davanti ad un pubblico, comunque, poco esigente. Questa sensazione di limitazione potenziale mi è stata confermata dall'espressione e dalle parole smozzicate di Four Tet che quando mi sono avvicinato offrendogli i complimenti da ammiratore poco convinto mi ha risposto con un Thank You che sapeva di Sorry seguito da un mio Thanks to you che sapeva di Don't Worry. Don't Worry, ripeto fra me e me, consapevole che la scena elettronica di sperimentazione ritmica, forse, ha già detto abbastanza, e non per sua scelta.

21/30

Tòmmie

1 novembre 2010

I Canti del Caos

Iosonouncane - La Macarena su Roma (Trovarobato, 2010)


L’inferno diresti. Fiamme ancora vive in un mondo agonizzante che si è arreso, è collassato su se stesso. La Strada sembra quella descritta e teorizzata da McCarthy. A percorrerla Iosonouncane, un Dante (ultra)terreno che cammina attraverso questi brandelli di mondo che rimangono alla ricerca di una Beatrice che non c’è, non è mai esistita. Ad accompagnarlo nessun Virgilio, c’è solo la solitudine, l’orrore, le grida degli altri. La Macarena su Roma la raccolta di questi cantici: I canti del Caos, una raccolta di poesie luciferine.


Jacopo Incani (ovvero iosonouncane) licenzia per Trovarobato uno di quei dischi che ti si appiccicano addosso anche se non comprendi bene il perchè. Roba cosi se hai un briciolo di integerrimità dovresti rifiutarla... eppure... E’ musica “brutta” (harsch!) quella composta e strutturata dal Nostro, avanguardia tra folk ed elettronica informe, virata nero seppia. Teatrale, esagerata, irreverente. Iosonouncane è post-ideologico, anti-ideologico. Un detective selvaggio che scandaglia ma in realtà non cerca nulla.


In Summer on a spiaggia affollata gli Animal Collective sequestrano Edoardo Vianello e lo fanno cantare coattivamente con un coltello alla gola. Mai estate fu cosi torrida e putrida. La causticità è messa in campo dal Boogie dei piedi per raccontare quanto può essere spiacevole mettersi in coda di prima mattina alla posta, impallidisce il Bugo di Fai la fila. Il corpo del reato è poesia dell’abbandono, un fiume in piena che porta con se detriti di un mondo indeciso sul farsi, logorrea pura che sfocia - è proprio il caso di dire - in un mare vuoto. Non hanno nulla di divertissement brani brevi come Rifacciamo la bocca con I cibi di buon gusto o Gramsci: scheggie impazzite che non dispiacerebbero ai Black Dice o ai Wolf Eyes. Non vi fidate delle atmosfera da amabile ballatine da cameretta del Il Sesto stato o di Il famoso gol di mano (Saba nel 2010?), il grand guignol è sempre dietro l’angolo e colpisce anche in queste tenere latitudini. La ridondanza del disco diventa assoluta con la track che dà nome al disco, la Macarena su Roma, un pezzo teatrale di 10 minuti che sono puro sfogo e rigetto per quel che non si ha e non si comprende.


Non aspettatevi ritornelli o appigli di nessun tipo su La Macarena su Roma, non cercate la catarsi o qualcosa di salvifico nel disco. Oggi, qui non ne abbiamo proprio bisogno. Tutto è tremendamente serio. Le singole parole, le infinite parole, i meri significanti che non significano sono le uniche cose che contato. Le uniche cose che (ci) rimangono.

29/30

OfO