11 dicembre 2015

Il Bestone di OfO 2015

Album
Ryley Walker - Primrose Green
Courtney Barnett - Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit 
Sufjan Stevens - Carrie & Lowell
Shilpa Ray - Last Year's Savage
Giant Sand - Heartbreak Pass
FFS - FFS
Bhi Bhiman - Rhythm & Reason
Twinsmith - Alligator Years
Sleaford Mods -Key Markets
DeerHunter - Fading Frontier
Low - Ones and Sixes
Girl Band - Holding Hands With Jamie
U.S. Girls - Half Free
Protomartyr - The Agent Intellect
Die Goldenen Zitronen - Flogging A Dead Frog
Car Seat Headrest - Teens of style
Windhand - Grief's Infernal Flower
Julia Holter - Have You In My Wilderness
Fell Runner - Fell Runner

Dischi
Tribuna ludu - Le Furie
Dardust - 7,7
Sycamore Age  - Perfect Laughter
IOSONOUNCANE - Die
Dimartino - Un Paese Ci Vuole
Heroin in Tahiti - Sun and Violence
Squadra Omega - Altri Occhi Ci Guardano
Any Other - Silently. Quietly. Going Away
Bachi Da Pietra - Necroide
Calibro 35 - Space
Calcutta - Mainstream
Go Dugong - Novanta
Caso - Cervino

Canzoni
The Districts - 4th and Roebling
Ghostpoet - Be Right Back, Moving House (feat. Paul Smith)  
Menace Beach  - Blue Eye 
Happyness - Great Minds Think Alike, All Brains Taste the Same
Death and Vanilla - California Owls
Hot Chip -  Huarache Lights
Built to Spill - So
Benjamin Clementine - Nemesis 
Only Real - Yesterdays
Mikal Cronin - Say
Hudson Mohawke - Scud Books
SOAK - Sea Creatures
Sharon Van Etten - Don't Want To Let You Down
Wavves x Cloud Nothings - Come Down
Battles - Dot Com
Youth Lagoon - Highway Patrol Stun Gun
Kurt Vile - Pretty Pimpin
Empress Of - Water Water
Bill Ryder-Jones - Two to Birkenhead
The Spook School - Binary
Mothers - Copper Mines
Kitty, Daisy And Lewis - Baby Bye Bye
Ibey - Ghosts
Dan Deacon - Feel the Lightning
Viet Cong - Continental Shelf
Parkay Quarts - Pretty Machines
Mac DeMarco - The Way You'd Love Her
Blank Realm - Costume Drama
Rival Consoles - Howl
They Might Be Giant - Good to Be Alive

Preview 2016
Tortoise - The Catastrophist
Johnny Cosmo - The Landlord 



29 settembre 2015

IOSONOUNCANE live @ Init Club, Roma 16 Aprile 2015




(da Blow Up #206, rubrica "Visti & Sentiti" guigno 2015)

L’intro che accompagna l’istrionica entrata di scena di Jacopo Incani in arte IOSONOUNCANE nel suo stage romano targato Init Club ti fa subito capire che la serata non lascerà prede. O bere o affogare sembra suggerirci l’artista sardo, evidenziando il tutto a suon di decibel sparati a manetta dove risuonano gorgheggi allucinati in stile Tenores de Bitti (che di tanto in tanto torneranno nel corso della serata qua e là senza fissa dimora, quasi a rimarcare le origini del nostro) deformati e mostruosamente osceni nella loro lucidità, accompagnati con  delle basi molto vicine allo stile harsh-noise di inizio millennio. La intro si tramuta piano piano in Tanca, brano di apertura del recentissimo e monolitico Die e Jacopo, one-man band per antonomasia, incomincia a spippolare con rara maestria su console, tastierine, samplers e laptop. Sin dalle prime melodie risalta subito all’orecchio che la luciferina e peculiare voce del Nostro in sede live è esattamente come quella che amiamo nei suoi dischi e questo, con i tempi che corrono (e coi filtri che girano), è un segno più che apprezzabile. Nel frattempo, sempre dietro la sua postazione, Jacopo sciorina una ad una, in perfetta sequenza, tutte le canzoni del nuovo album; canzoni come Buio o Carne vengono riproposte nude e crude senza troppi stravolgimenti, sempre sul filo tra avanguardia, ridondanza mistica, spinte progressive e pop drogato. 


("Gorgheggi allucinati in stile Tenores de Bitti" rintracciabili in Tanca)



L’alto volume del locale con l’aggiunta di qualche rumorismo in più coadiuvano il cantautore a perseguire la missione che si è imposto beffardamente sin dai tempi del primo omonimo Ep: come fosse un novello (e sadico) Virgilio, IOSONOUNCANE ci vuol prendere per mano e ci vuol fare da guida nel tortuoso cammino attraverso l’inferno odierno, ovvero il nostro mondo attuale, non risparmiandoci di alcuna visione possibile. Per questa ragione neanche Stormi, quella che al primo ascolto definiresti una canzone pop, riesce a conciliarti in toto con la vita, anzi. Nella scaletta tra Paesaggio e Mandria l’artista si prende la concessione d’improvvisarsi techno-dj andando giù duro di cassa dritta trasformando l’Init per qualche decina di minuti in un piccolo house-club. I bis sono due e sono affidati ovviamente al repertorio del debut-album: su La Macarena su Roma Jacopo ritrova tutta quella logorrea e teatralità che avevano caratterizzato il primo disco (spinte che si sono affievolite un po' nell’ultimo lavoro) e addirittura  abbozza un siparietto brechtiano, comico e agghiacciante al tempo stesso, dove le vittime designate del suo caustico sproloquio sono le donne. 


(Strormi, canzone così Pop che la mia vicina di casa 18enne l'ascolta a manetta, giuro!)


In chiusura, e non poteva essere altrimenti, l’artista imbraccia, per la prima volta in tutta la serata, la sua chitarra acustica e intona il suo capolavoro Il Corpo del Reato, per il sottoscritto una delle più belle e commoventi canzoni italiane di sempre sull’essere e il non essere

Marco 0f0 Giappichini


6 maggio 2015

Less is more, il ritorno di Sufjan Stevens

Sufjan Stevens 
Carrie & Lowell 
Asthmatic Kitty, 2015

Dimenticate la teatralità di Sufjan Stevens Invites You To: Come On Feel The Illinoise, la bizzarra grandiosità di The age of Adz e la stravaganza di un ep di otto brani per 59:15 minuti come All Delighted PeopleCarrie & Lowell è un album che scava in profondità alla ricerca di melodie semplici e di armonie di pochi strumenti. Le grandiosi architetture sonore con cui si è conquistato il nostro amore, almeno il mio di sicuro, in cui si fondevano pop orchestrale, folk, rock e electro spariscono completamente per effetto di uno scrupoloso labor limae. 

L'album è dedicato alla madre, Carrie, la cui morte ha scatenato una reazione a catena di sentimenti e ricordi. E allora appaiono meravigliose immagini di paesaggi sospesi tra sogno e realtà Somewhere in the desert there's a forest, accarezzati dalla brezza dell'Oregon I'm bright as the Oregon breeze, in cui non mancano mai i riferimenti biblici I'm a fool in the fetter/Rose of Aaron's beard, where you can reach me. La voce cristallina, come quella di un bambino, i sussurri delicati e l'intimità dei testi danno quasi l'impressione di sbirciare un diario segreto chiuso in un cassetto. Semplicità e dolcezza struggente sono le caratteristiche fondamentali di questo lavoro che ci accompagna in un mondo onirico in cui si passa dal buio più profondo We're all gonna die / But every road leads to an end  / Yes every road leads to an end a sprazzi di luce My brother had a daughter / The beauty that she brings, illumination

Il ricordo della madre si snoda in un flusso di immagini e sensazioni ben lontane dal retorico patetismo sulla morte, è pura introspezione alla ricerca di una semplicità essenziale che sembra essere la miglior medicina possibile.


29/30
Signor(in)a Zeta


18 aprile 2015

A volte ritornano

E poi compare un post di Notizie Sullo Stato Della Musica Nell'Età Della Pietra, blog ormai in disuso da anni, in cui ho scritto per un bel po’ di tempo e che non era solo un blog ma uno specchio della passione per la musica che ha occupato pomeriggi interi, serate alcolicissime di un fantastico trio di amici (e un cane). 
E poi sono usciti negli ultimi mesi i nuovi lavori di Sufjan Stevens, Modest Mouse, Iosonouncane, artisti che ci piacevano tantissimo, di cui abbiamo visto concerti e scritto recensioni.
E poi vai a ricercare la tua ultima recensione di cui ignoravi l'esistenza, datata 2011 e pensi, mica male però. Anzi, proprio bella, mica come quella robbetta fighetta che scrivono i ragazzini di Noisey.
E poi ti metti a pensare che è passato un sacco di tempo e che quel sacco di ore libere per scrivere nel blog e registrare le puntate della webradio non ce le ho più, ma che la passione è sempre lì, e anche se gli dedico meno tempo, la ritrovo sempre al suo posto.
E allora che si fa? Ricomincio a scrivere, eddaje. Operazione nostalgia: modalità attivata.


A breve il ritorno di Signorina Zeta, che nel frattempo è diventata Signora Zeta.

Uyuni live @ Klamm, Roma 24 gennaio 2015



(da Blow Up #202, rubrica "Visti & Sentiti" febbraio 2015)


Nei comodissimi divani del Klamm (locale nato da pochi mesi ma che si è già conquistato un posto di rilievo tra i mille che spuntano come funghi nel movimentato quartiere del Pigneto) i live, non sappiamo esattamente il perché, acquistano sempre un sapore magico. Sarà per l’atmosfera cosy che si respira all’interno, sarà la bravura degli artisti chiamati a suonare in semi-acustico sulle… poltrone; sarà per la distanza tra artista e spettatore completamente azzerata grazie appunto ai “democratici” divani, sarà quel che sarà, ogni esibizione al Klamm è sempre una piacevole sorpresa, una perla inaspettata. Non fa eccezione il live degli Uyuni, band romagnola capitanata da Nicola “Lompa” Lombardi e fresca di uscita con il bellissimo album Australe (trovate la recensione su Blow Up #199). 

(uno scorcio dei divanissimi del Klamm, dietro Amaury Cambuzat. Eh oh, accontentatevi.)


Dal vivo la formazione a tre prevede la chitarra acustica di Lompa filtrata da pedali, pedaliere e tutto quello che si può avere a disposizione per stravolgere e rendere noisy il suono della chitarra, la batteria minimale (cassa, rullante, raid) di Inserireilfoppino ora suonata di spazzola, ora pestata più duramente e la sinuosa tastiera di Alice Berni usata come basso in alcuni pezzi e come tappeto armonico a mo’ di xilofono in altri. Weird folk non è il termine esatto ma può servire per far capire i mille sentieri che può prendere il sound del combo in sede live, partendo appunto dalla spiccata matrice folk-roots. Chicche pop come Molte volte niente o Albero, suonate in punta di bacchetta e cantate dal buon Lompa con l’ausilio del controcanto di Alice, si alternano a umori musicali puramente faheyani come Qualcosa a cui non pensavi da tempo dove è la chitarra a dominare la scena; brani resi robusti da botte di slide-guitar distorta e batteria pigiata quanto basta (che ci ricordano i Bud Spencer) fanno invece da contraltare a momenti di pura psichedelia e drone-ambient vedi alla voce Ojos de Salar, lì pensi subito a Six Organs of Admittence (che a parer mio non è poi così male come modello). 

(Albero, una delle più belle e commoventi canzoni folk-pop italiane degli ultimi decenni)


In scaletta anche brani pescati della tradizione americana come Pretty crowing chicken e la cover Dark was the night, cold was the ground di Blind Willie Johnson, per far capire quali siano le radici. Se passassero mai nella vostra città non declinate l’invito ad andarli a vedere. Ancora meglio se su un comodo divano. 

Marco @0f0 Giappichini

Thegiornalisti live @ Circolo degli Artisti, Roma 18 dicembre 2014


(Da Blow Up #201, rubrica "Visti & sentiti" febbraio 2015)


Per una band purosangue de romani de Roma fare per la prima volta Sold Out al Circolo degli Artisti è un po’ come per un brasiliano giocarsi la finale della coppa del mondo al Maracanà (ops!): non fare figuracce e portare a casa la coppa è l’unica cosa che conta. L’Intro un po’ ti-piace-vincere-facile che accompagna l’entrata della band è affidata a una Ricordati di me del Vendittone nazionale sparata a tutto fuoco dalle casse del Circolo che scalda e gasa non poco il fremente pubblico capitolino.

(video con grafica oscena tanto per farvi capire di cosa parliamo quando parliamo di Intro)


Se è vero che “..io sono uno di quelli che se a calcio sbaglia il primo pallone butta via tutta la stagione” (parafrasando Proteggi questo tuo ragazzo) l’apertura con Se lei viene giocata sapientemente bene dal combo anche se il baffuto frontman Tommaso Paradiso , visibilmente il più emozionato dei Nostri, inizialmente stenterà a ritrovare quel tono di voce così peculiare e caratterizzante (molti hanno gridato al plagio di Dalla) che si è fatto amare non poco su Fuoricampo.  Ma si sa, le canzoni esistono per essere smentite e il cantante piano piano, scaldandosi, troverà la giusta via e il concerto alla fine sarà tutt’altro che da buttar via. Fuoricampo dicevamo, il recente e consacratorio album dei romani che nella serata viene legittimamente sviscerato e passato in rassegna nella sua interezza; canzoni come Mare Balotelli o Fine dell’estate sono evidentemente diventate dei veri e propri anthem entrati di diritto nel cuore dal pubblico, veri e propri classici da cantare a squarciagola tutti insieme appassionatamente. I thegiornalisti non sono immuni a tutto questo entusiasmo e da ragazzi poco inclini alle pose quali sono, non smettono mai di ringraziare l’affetto profuso del pubblico. 

(video di "Fine dell'estate" @ Circolo con tanto di audio slabbratissimo e effettazzi psychedelici sullo sfondo)



L’atmosfera via via cresce e si fa calda e amicale. Quel mood ipnagogico e trasognante molto 80’s che impregna deliziosamente l’ultimo cd, reso benissimo anche in sede live (la band è in classica formazione chitarra, basso, batteria, tastiere & samplers), viene interrotto da una manciata di vecchi cavalli di battaglia dagli umori marcatamente più rock e sanguigni: vedi la afterhoursiana Io non esisto, oppure dalla strampalata versione chitarra-voce di Corso Trieste de i Cani, omaggio a Niccolò Contessa che si dice presente in sala. Chiusura affidata al tormentone Promiscuità (quello si molto dalliano) cantata da Tommaso in piedi sul bancone del bar e dai noi tutti lì sotto schiumanti. E così “..anche il più piccolo tremore se ne va quando sei su una nuvola”. 

(l'unico video che sono riuscito a trovare su youtube di "Promiscuità" esibita quella sera. Se date fiducia al testone che impalla il cantante all'inizio, dopo un pò si sposta.)
                                                              


Marco @0f0 Giappichini