29 ottobre 2009

Dente, questo (s)conosciuto!! L'Intervista


Molti lo idolatrano follemente sin dal primo album. Qualcuno lo ha scovato in qualche pubbettino sperduto in provincia quando ancora era accompagnato solo dalla sua acustica. Altri lo hanno scoperto in seguito, magari nella compilation post-Sanremo degli Afterhours “Il paese è reale” (ovviamente il suo è il brano più bello del disco) oppure nel concertone del 1 Maggio di quest’anno (neanche a dirlo, la sua l’esibizione più brillante e “viva” dell’evento). La critica lo acclama da tempo. Tanti, i più, ancora non sanno di amarlo.

Condizione imprescindibile di un autore che avrebbe tutto per diventare il nuovo Pop-Hero nazionale ma che ha invece preferito rimanere in quella terra di mezzo di chi prende le cose come vengono, territorio di chi preferisce il lavoro rigoroso e coerente delle scelte personali alle facili scorciatoie da Tormentone. Il successo se vuole, arriverà da solo, non c’è fretta.
Tutto quello che ha, Giuseppe Peveri in arte Dente se lo è creato da solo, insieme al suo talento: dalle migliaia di fan che oggi “apprezzano” i suoi elementi pubblicati nel suo facebook personale, alle centinaia di supporter che oramai lo seguono nei suoi concerti sempre più frequenti e richiesti.
Chiaramente tutto questo con l’American dream ha ben poco a vedere. Casomai la “parabola” di Dente ha molto più a che vedere con l’italico “Precariato dream “ degli anni Zero, il sogno di riuscire a campare dignitosamente facendo quello che si ama: “ Non ho mai rincorso il desiderio del successo e non lo seguo neanche adesso, quello che m’importa è vivere serenamente facendo qualunque cosa che mi renda felice. Non m’importa il lavoro che faccio, fare il cantante non è un lavoro figo a prescindere, qualsiasi lavoro che ti fa stare bene e che ti fa alzare la mattina felice è bello”.
Al suo terzo disco e mezzo (considerando anche il suo Ep Le cose che contano, 2008), all’età di 33 anni, Giuseppe Peveri da Fidenza si può guardare indietro compiacendosi per quello che ha fatto fin’ora. Musica, semplicemente sublime.
Dente crea dipendenza (come citano i suoi ironici spot). Ce ne siamo accorti sin dal primo (semi) home-made album Anice in Bocca (Jestrai, 2006). “E’ un disco registrato in pausa pranzo a casa dei miei a Fidenza con mezzi di fortuna 4 piste a cassette, cuffie al posto del microfono tecnologia primordiale, sono canzoni spesso embrionali, 16 pezzi per 30 minuti.”
16 schegge di ballate folk sporche e intimiste che ti si appiccicano addosso sin dal primo ascolto. La chitarra acustica insieme alla soave voce del Nostro sono i protagonisti indiscussi dell’album. Non serve altro per mettere Dente in condizione di guardarti in faccia e di parlarti dell’Amore, il topos portante di tutta la poetica dell’autore, in un modo scanzonato e del tutto personale. Disfatte e trionfi vanno a braccetto in queste dolci poesie trasognate e surreali che attingono dalla nostra tradizione cantautorale per trasformarsi in qualcosa di altro. Qualcosa di nuovo e inatteso (voto: 25/30).
Suona ancora volutamente a bassa fedeltà Non c’è due senza te (2007), il suo secondo disco per Jestrai. L’(auto)ironia di Dente si fa qui più pungente e consapevole. Il suo realismo magico fugge di continuo le trappole del patetismo grazie alla forte vena tragicomica che pervade i suoi testi. Giuseppe gioca in modo semi-serio con le parole e il loro significato intrinseco, reinventandosi di continuo un personalissimo vocabolario che rimane tutt’oggi uno dei marchi di fabbrica del suo fare musica. Gli arrangiamenti del disco si fanno più robusti e incisivi, anche se ancora la matrice folk-acustica è quella più marcata (voto: 28/30).
Dopo quasi due anni passati interamente a suonare live accompagnato solo dalla sua fedele chitarra acustica “suonando ovunque in qualsiasi condizione tecnica” eccoci arrivati al 2009, l’anno della consacrazione. L’anno di L’amore non è bello, il suo ultimo disco che segna anche il passaggio da Jestrai a Ghost record. “Finalmente un disco registrato in studio, cosa che avrei sempre voluto fare. Sicuramente è un disco più curato e ragionato, non tanto nella composizione ma nella produzione. Per la prima volta ho fatto un disco sapendo che sarebbe stato un disco e che sarebbe uscito ascoltato e giudicato. I lavori precedenti erano cose casalinghe che facevo per me senza spere che sarebbero diventati dei dischi veri”.
Sempre in punta di piedi, Giuseppe ci consegna 13 preziose canzoni orchestrate alla perfezione che sono il proseguimento ideale di un’artista che se non ha trovato qui lo Zeitgeist, c’ è andato molto vicino. L’ album, grazie a quel tocco agrodolce tipicamente dentiano, è indubbiamente uno specchio del tempo, il nostro. Parlandoci di amori post-adolescenziali ma non ancora pienamente maturi, Dente si candida ufficialmente con “L’amore non è bello” a diventare il mentore della generazione “bambocciona” dei trentenni di oggi, quella che si è smarrita nel crescere, anche se non lo ammetterà mai: “Io mi sento uno che scrive canzoni in modo naturale. Scrivo quello che mi succede. Non credo di rispecchiare la vita del trentenne medio, non mi sono mai sentito parte della mia generazione e poi conduco una vita diversa dalla maggior parte dei miei coetanei. L'ho sempre fatto. Se poi la gente s’identifica in quello che scrivo mi fa piacere, intendiamoci” (voto: 30/30).

OfO