3 novembre 2009

Dall’uomo ad una dimensione… al Teatro degli Orrori

Un tempo c’erano gli One Dimensional Man. Nome tratto dall’opera forse più nota di un intellettuale della nostra epoca, l’espressione della schiavitù democratica. Una citazione dietro quella che fu una delle live band più capaci d’Italia. Centinaia e centinaia di concerti, da soli e di spalla a grandi formazioni internazionali (Jon Spencer Blues Explosion, Melvins,Blonde Redhead, Air e Giant Sand per fare qualche esempio), diverse partecipazioni a festival importanti, 4 dischi in studio.

Un signor gruppo insomma.

E così, dopo circa dieci anni, si arriva al 2005. Anno dell’ultimo tour: anno in cui nasce il Teatro degli Orrori. Ancora una citazione dietro cui si sviluppa un progetto musicale nuovo e tutto in italiano. I componenti hanno militato negli ODM. Tutti tranne uno. Dal primo gruppo arrivano voce e chitarra, batteria e basso, rispettivamente Pierpaolo Capovilla, Francesco Valente e Giulio Favero. Mentre la seconda chitarra, Gionata Mirai, arriva dai Super Elastic Bubble Plastic.

Il nome, Teatro degli Orrori, si ispira al Teatro delle Crudeltà di Antonin Artaud. Come quello cercava di restaurare le dinamiche convulse, caotiche e violente del reale, attraverso una visione tanto profonda da concepire ogni cosa del Mondo e il contrario di essa. Notte e giorno. Pulsioni di vita e di morte come espressioni opposte ed equivalenti. Allo stesso modo il Teatro di Capovilla rappresenta la Vita per com’è. Senza fronzoli. Senza abbellimenti e senza semplicismi edulcorati. Quello che si scorge qui è un romanticismo vero, nel senso letterario del termine. È il romanticismo della passione. Di quella passione che consuma e distrugge. Che devasta.

Il Teatro degli Orrori è un progetto musicale che riflette e fa riflettere. Fa una musica che colpisce duro. Cruda e sincera. Cattiva. I testi sono ragionati e raccontano. Talvolta sono meno razionali, più impulsivi, e urlano. Questo è un gruppo che usa parole pesanti con una musica rock bella forte. Non di facile ascolto, ma, al contempo, di ampio gradimento. A testimoniarlo è il successo del primo, bellissimo, Dell’impero delle Tenebre (La Tempesta Dischi / Venus Dischi, 2007). Un album che ha segnato il 2007 musicale italiano con brani come “Dio mio”, “Carrarmatorock!”, “Compagna Teresa”, “Maria Maddalena”. Un album difficile da ripetere. (voto:30/30)

Loro però hanno realizzato un nuovo, riuscito, capitolo del Teatro degli Orrori. Ancora una citazione a fare da titolo. E così A sangue freddo (La Tempesta Dischi, 2009) – nome dell’album e della canzone dedicata al poeta e attivista nigeriano Ken Saro Wiwa – regala 12 tracce di un’umanità sincera e straziante. Brani che si fanno portatori di memoria (“A sangue freddo”, “Majakowskij). Brani che entrano nella carne, si fanno carne e la divorano. Brani che esprimono in musica le emozioni più forti. La passione, la passione sanguinaria, l’ira. Il rimpianto e la presa di coscienza delle conseguenze delle proprie azioni “sarebbe stato bello invecchiare insieme” – canta Capovilla – “la vita ci spinge verso direzioni diverse. Non te prendere, non te la prendere almeno una volta, il lavoro mi rincorre, adesso devo scappare”. Una vita che sarebbe potuta essere diversa (“Direzioni Diverse”). Denunciano le condizioni politico-economiche del mondo globale “nel terzo mondo fanno finta di vivere in democrazie, il libero commercio di schiavi c'è ancora nel terzo mondo, se parli troppo ti fanno fuori, se non ti fai gli affari tuoi, se non ti dà noia, gli zingari li bruciano e poi li mandano via “. Un mondo dove “solo le mie disperazioni mi fanno sentire ancora vivo” (“Terzo Mondo”). Ci sono, ancora, tanti riferimenti religiosi. Su tutti “Padre Nostro”, che inizia con il testo della preghiera e si chiude con un’amara consapevolezza “non soltanto Dio non governa il mondo, ma neppure io posso farci niente, non è compito mio, ci penserà qualcun altro”. La visione del Teatro è sincera e amara. E racchiude una poetica matura. Da ascoltare con attenzione. Speriamo che non smettano, che di gruppi come loro c’è sempre bisogno.

(voto:29/30)

M.Mae