9 ottobre 2010

Fathers and Sons

Fathers And Sons

Black Mountain – Circolo Degli Artisti – Roma , 01 ottobre 2010
Venerdì primo ottobre arrivo stanco e affannato al Circolo, dopo una settimana di duro lavoro, duecento chilometri di autostrada e il solito stressante giro infinito per cercare un buco di parcheggio. Così mi perdo anche il primo pezzo del concerto dei Black Mountain… Il locale è (come sempre) pieno all’inverosimile, la temperatura elevata e il tasso di umidità degno di Saigon. Possibile che si debba ascoltare la musica in queste condizioni? Insomma ce n’è di motivi per essere incazzati! Ma i ragazzi sul palco ci sanno fare e stanno saccheggiando il loro recente ottimo album Wilderness Heart (Jagjaguwar). Cerco allora di astrarmi dall’atmosfera irrespirabile, mi appoggio vicino alla porta per prendere qualche refolo d’aria (puntualmente escono pallidi e sconvolti appassionati con la pressione bassa..), chiudo gli occhi e mi godo ottime versioni di Let Spirits Ride e Rollercoaster. La base ritmica è precisa, Amber Webber si dimostra una buona vocalist, Jeremy Schmidt con l’organo dà il giusto tocco alla Deep Purple e Stephen McBean è l’indiscusso maestro di cerimonia. La band riesce a creare una credibile atmosfera da deja vu primi anni 70, senza rinnegare il presente. Bravi.
Voto: 28/30

Steve Winwood - Auditorium Parco della Musica, Sala S. Cecilia - Roma, 03 ottobre 2010
Come potevo mancare al concerto dell’enfant prodige del rock, di una delle voci più nere della British Invasion (leggi Spencer Davis Group), del leader degli immensi Traffic, dell’uomo che ha scritto Gimme Some Lovin, I’m A Man, Can’t Find My Way Home, Dear Mr. Fantasy, che ha partecipato alle sessions di Electric Ladyland e mitologia rock discorrendo? Infatti sono già assiso nella sala di Santa Cecilia alle 20 e 55. L’attesa è poca perché dopo una manciata di minuti entrano sul palco gli ottimi musicisti della band: Davide Giovannini alla batteria, Tim Cansfeild alla chitarra, Satin Singe allle percussioni e Paul Booth al sassofono ; quando compare Steve e si accomoda davanti al suo vecchio organo Hammond, parte un sentito applauso del pubblico. Alla faccia dei suoi sessantadue anni Winwood ha ancora una voce che dà i brividi. A dire la verità forse un basso e un ottone in più non sarebbero guastati, poi il suono non è dei migliori: praticamente non si sente la chitarra di Cansfeild e anche l’organo di Winwood fa i capricci. Ci vorranno una ventina di minuti prima che gli impacciati tecnici del suono riescano a cavare il ragno dal buco. La versione di Can’t Find My Way Home con Steve alla chitarra invero è un po’ moscia, soprattutto in fase di assolo chitarristico (Winwood non è proprio un virtuoso di questo strumento…), ma il brano è così bello e la sua voce così evocativa che gli perdoniamo il confronto perso con il celebre solo di Clapton. Buona la versione di Empty Pages, ottima la resa di un’intensa The Low Spark Of High Heeled Boys, applauditissima la celebre Higher Love, non male una minimale Dear Mr. Fantasy (con Steve alla chitarra accompagnato solo dalla batteria di Giovannini e da Paul Booth all’ Hammond). Ma il meglio di sè il signor Winwood lo dà con i suoi pezzi più antichi, sfoderando una spumeggiante versione di I’Am A Man e una poderosa Gimme Some Lovin. Alla fine uno dei padri di tanti ragazzi che oggi si rifanno al sound degli anni a cavallo fra 60 e 70, suonerà generosamente per ben due ore, senza atteggiamenti da rock star, con un’attitudine da onesto artigiano di quella musica che abbiamo amato di più. Un vero classico .
Voto: 28/30
Massimo Daziani