15 aprile 2011

Uno strano trio che si diverte

The Orb feat. David Gilmour “Metallic spheres”

Era l'estate del 1998. Dopo l'esame di maturità andai qualche giorno in vacanza a Rimini con alcuni amici. Qualche amico più grande di noi ci aveva consigliato di andare al Melody Mecca, una discoteca in cui si ballava musica afro.

Nel locale il “chimico” andava per la maggiore. Durante la serata mentre eravamo a fumare nel giardino, siamo stati avvicinati da uno strano tipo, non saprei dire quanti anni avesse, si faceva chiamare Babe, aveva ormai pochi denti e l'aria di chi ha provato ogni tipo di droga. Siamo stati a fumare con lui, a prenderlo un po' in giro e ad ascoltare i suoi strampalati racconti. Diceva di far parte di un gruppo di poche persone che a partire dalla fine degli anni '80 avevano fatto diventare famosa la Baia Imperiale, di avere a casa una discografia sconfinata di musica elettronica, tra cui “quattromila” dischi degli Orb.

Era la fine degli anni '90, gli anni del ritorno del rock duro e puro ma anche quelli in cui dall'Inghilterra erano arrivati il brit pop e lo shoegaze, la scena elettronica, l'acid jazz: l'ecstasy e la club culture avevano invaso l'Europa.

Prima di sentire quel nome uscire dalla bocca di Babe, avevo già sentito parlare degli Orb su Rock Star, ai tempi avevano pubblicato un disco dal titolo Orbus Terrarum. Non li ascoltavo allora, come non li conoscevo fino a poco tempo fa. Adesso li ritrovo in questa pubblicazione nata in collaborazione con David Gilmour, esponente e ex membro di un gruppo che forse più di molti altri ha anticipato le atmosfere, le idee e le strutture della musica elettronica. E' stato curioso sentire come si sono incontrati due stili simili per attitudine ma certo diversi per questioni anagrafiche.

Come si parla di un disco composto da due tracce rispettivamente della durata di 28'42” e di 20'12”? Come si giudica la composizione? Lo si ascolta e basta, nella sua naturalezza, anche perchè Metallic Spheres ha l'aria di una jam session, si impasta con l'aria intorno, è atmosfera. In realtà i brani non hanno strutture omogenee ma sono più simili a collage di varie composizioni: si inizia con una chitarra slide alla Matte Kudasai dei King Crimson, per andare verso un crescendo di ritimica elettronica, orizzontale, come un tappeto, su cui si distendono tastiere veramente floydiane. Poi le chitarre passano in secondo piano, per lasciare il posto alla parte ritmica su cui si inserisce un accenno di cantato e via dicendo, verso un bridge folkeggiante in finger picking, a seguito del quale la chitarra elettrica di Gilmour a suon di slide fa partire una sorta di secondo movimento, come in una composizione classica.

Ripeto, non lo si descrive, lo si ascolta, possibilmente da soli o tutt'al più in compagnia intima. Consigliato.

Voto: 29/30

Matteo Innocenti