29 maggio 2011

TomBoy: musica da un mondo onirico

La mano è sempre la stessa, quella che si riconosce nei tre dischi precedenti e quella che detta i ritmi del Collettivo Animale di cui è fondatore. Sto parlando di Panda Bear e del suo nuovo album Tomboy che pare fosse già stato partorito a fine 2010 ma covato fino all'attesa distribuzione avvenuta, con studiato ritardo, ad Aprile 2011. Dopo più di un mese e mezzo nasce anche questa recensione frutto della ricerca delle giuste parole necessarie per descrivere le caratteristiche di un disco incisivo, fin dalle sue prime note.
Parlavamo delle tempistiche dell'album, il primo singolo è datato addirittura 13 Luglio 2010 ed è TomBoy, il pezzo che da il nome a tutto l'album e che probabilmente rappresenta il manifesto, del disco e dello stile compositivo dello Psichedelico Polistrumentista di Baltimora. Un incedere cadenzato, scandito da un controtempo voce-campionatore che colpisce un indifeso ascoltatore che tende a concentrarsi su quelle domande che TomBoy fa a sé stesso. Niente da dire, gran pezzo, ma è tutto il disco che colpisce per maturità, ritmica e quel pizzico di calma che sa infondere senza mai annoiare o far assopire le orecchie che si attaccano assetate all'auricolare.
TomBoy il primo singolo ma anche la seconda canzone dell'album che invece inizia con You Can Count on me, psichedelia sintetica di sola batteria e voce che introduce l'ipnosi come elemento caratterizzante di questa festa fatta di meraviglia.
Subito dopo la citata TomBoy seguita da Slow Motion: ripetitività nelle voci e crescendo nella base.
Le onde del mare si fanno spazio in Surfer's Himn presentando un paesaggio vergine oltre che brutalmente rilassante che si sviluppa in un impennata non troppo intrusiva.
Con Last Night at the Jetty si raggiunge il picco dell'opera: martellante ballatona onirica che lascia puntualmente in bocca parole dal sapore amaro come quello di un sogno spezzato.
Si arriva senza fiato alla conclusione di questo quintetto, ma l'arco sintetizzato di Drone dà una nuova sferzata ancor più stordente, così come la chitarrina Alsatian Darn.
Il pianoforte che caratterizza Scheherezade non detta che la frenata finale di un disco che continua con le basi un po' più omogeneizzate e amichevoli di Friendly Bracelet e Afterburner. Si conclude con Benfica, pezzo dedicato alla squadra di quella città che ha determinato una svolta nella vita dell'artista statunitense che proprio nella città lusitana ha trovato quello "slow moving kind of place" che gli ha permesso di far maturare definitivamente la propria creatività.
Un disco importante, che ha accompagnato le mie orecchie quasi quotidianamente dal giorno della sua uscita fino a questo preciso momento.
Per digerirlo ci si mette un po' ma una volta scomposte tutte le molecole che lo costruiscono non resta che la soddisfazione di un'opera complessa ma emozionante in ogni singola nota.
Il voto è alto, così come la voglia di andare a vedere un concerto di Panda Bear non appena capiterà sotto mano.

28/30

Stefano Tommie Nucera