4 giugno 2011

Sufjan sembra impazzito. Invece è un genio: cronaca del concerto dell'anno (e forse del decennio)


Sufjan Stevens, per la prima volta in Italia. E' sbarcato a Ferrara lo scorso 24 maggio, al Teatro Comunale: una cornice perfetta per lo show che ha deciso di portare in giro per il tour di "The Age od Adz". Due ore e mezzo di incanto, stupore e meraviglia. Elettronica, pop, la sua voce calda da country, navicelle spaziali, cosmonauti vestiti di fluo e gigantesche ali bianche. E monologhi infiniti in cui si è fatto conoscere meglio dal pubblico, visto che non rilascia interviste. Almeno non ha me.

Il teatro è da tutto esaurito. Il pubblico è emozionato. Ad aprire la serata, uno dei musicisti di Sufjan: DM Stith, biondo chitarrista che ha scaldato l'atmosfera con 4 pezzi folk-country alla Jeff Buckley, con qualche velo di Bowie. Notevole e bravissimo. Così, uno si aspettava un concerto da Sufjan: uno che ha cominciato qualche anno fa a dirti "Come on and feel the Illinois" e poi voleva fare un disco per ogni stato dell'America. Molti pezzi li dedica a Dio, citando versi della Bibbia. Pazzo, ma pur sempre cantautore slow country, indiefolk.


Poi, nel 2010 tira fuori questo "The Age of Adz", molti pensano che la svolta elettronica non gli sia consona. In realtà, ha sfornato un album pazzesco, curatissimo e da 10 e lode. Chissà che farà dal vivo.
Ecco, dal vivo Sufjan ci ha fatto restare a bocca aperta. Undici persone sul palco, scenografie cosmiche, videoproiezioni di fumetti spaziali, due coriste ballerine che sembrano uscite da H&M. E' un vortice di colori, di suonini elettronici e campionamenti. Sufjan e la sua band sono tutti vestiti da astronauti (o cosmonauti, se preferite la versione sovietica) con tute dai colori fluorescenti. Appena uscito (cantando "Seven Swans") ha anche delle ali attaccate dietro. Uno spettacolo degno di Georges Méliès.

Onirico, visionario, schizofrenico. proprio come Royal Robertson, figura che il musicista spiega e di cui narra la storia tra un pezzo e l'altro: un artista americano scomparso nel 1997, affetto da schizofrenia e morto in solitudine nel 1997. Disegnava strisce da comic e grafic art a sfondo cosmico, era convinto che gli alieni stessero per arrivare a bordo di un'astronave guidata da Dio. E Sufjan, a partire dal'art work e dal titolo dell'album (che è una citazione di un suo lavoro) fino alla chitarra con su scritto "Royal", si è talmente innamorato di questo personaggio che ha improntato tutto il live sul suo immaginario. Le proiezioni, infatti, sono di Robertson e l'effetto è un po' da Kraftwerk con qualche rotella fuori posto. Meraviglioso.

Il live è un crescendo di emozioni, da un palchetto di un teatro in cui di solito fanno l'opera. Nel frattempo, sta per nascere mio nipote all'ospedale Maggiore di Bologna e io non ci sto più nella pelle. Fa tutto il disco nuovo, dilatando alcuni pezzi frullandoci il cervello. Chiacchiera parecchio, spiega che in questo nuovo lavoro ha lavorato molto sul movimento e sul collegamento col ballo: via, tutti cominciano a muoversi un po' come automi flessibili, a ritmo di musica. Ogni tanto spara delle frasi di cui lui stesso ride come un bambino. Tipo: "Ogni azione ha una reazione, l'universo è in armonia e noi dobbiamo essere pronti ad integrarci con lui".

Sms di mia madre: ancora nulla, domani le faranno una flebo per indurre le contrazioni. Ok. Arriva una navicella spaziale fatta con materiali di sicuro made in China, ma molto simpatici e che rendono perfettamente il livello della produzione: in pompa magna, ma low cost. Perfetta filosofia indie, insomma. DIY o lo-fi. Quel che volete.

Una delle coriste si infila su per i palchetti, e sbuca arrampicandosi, restando in bilico e continuando a cantare. E' "Impossible soul" (il pezzo che pure sul disco dura 25 minuti),
fatta in tutte le declinazioni del power-pop, power electro. Pure col vocoder! In platea si alzano e ballano.



Escono. Rientra prima lui da solo. Fa qualche pezzo dei precedenti album, al piano e con la chitarra.

Poi, la magia. Parte "Chicago", escono palloncini colorati e il finale è un mondo sempre più fiabesco, un po' da Teletubbies, in cui è inevitabile pensare alla felicità che un concerto del genere può infonderti. Un artista come pochi ce ne sono in giro, che mette su uno spettacolo a 360 gradi, si regala al pubblico anima e corpo e pur nella sua essenza indipendente realizza qualcosa di grandissimo. E' il concerto del decennio, ne sono sicura.



Esco dal teatro, chiamo mia madre. "Le stanno facendo il cesareo d'urgenza". Si vola a Bologna, di corsa. Un po' d'ansia, chissà come andrà. A 00.44 mio nipote era già nato e io capisco che nella stessa ho assistito a due eventi indimenticabili.

Conservo il biglietto e appena cammina gli regalo "The Age of Adz". Crescerà bene.

Scheggia