10 gennaio 2010

Mingusology, parte 3


Charles Mingus- THE CLOWN (Atlantic 1957)

Questo disco registrato nel 1957 fu in realtà pubblicato dall’Atlantic solo quattro anni più tardi (!), quando Mingus era già una stella luminosa nella costellazione del jazz.
Il lavoro si apre con Haitian Fight Song, uno dei capolavori del Mingus compositore e brano simbolo della sua furiosa tecnica al contrabbasso. Prendendo spunto dalla rivoluzione haitiana degli schiavi avvenuta nel 1791, che portò alla fondazione della prima repubblica nera nel 1804, Mingus realizza una composizione dinamica e aggressiva, chiara metafora della lotta di liberazione afroamericana. Il brano comincia con un’introduzione di contrabbasso che porta al celeberrimo riff blueseggiante (tra i più citati negli assolo dei jazzisti dediti a questo strumento). Il riff viene gradualmente rinforzato da tutti gli altri strumenti in un crescendo polifonico che sfocia nel tema principale. Ogni musicista prende gli assolo, ma al richiamo di contrabbasso si ritorna al riff iniziale. Jimmy Knepper al trombone è caldo e incisivo come non mai, Wade Legge al piano è elegante e malinconico, il sax alto di Curtis Porter (poi diventato Shafi Hadi) s’ispira al bebop ma profuma di blues, la dinamica batteria di Dannie Richmond fa da collante tra i vari solisti, passando con disinvoltura da un ritmo di marcia ad uno shuffle rhythm’n’blues. Ma il momento culminante del brano rimane l’assolo di contrabbasso così intensamente espressivo. E’ lo stesso Mingus a descrivere in maniera magistrale il suo intervento solistico: ”L’assolo che prendo in questo pezzo è frutto di una piena concentrazione. Non posso suonarlo nel modo giusto se non penso al pregiudizio, all’odio, alla persecuzione e a quanto tutto ciò sia iniquo. In esso c’è della tristezza e ci sono delle grida, ma c’è anche della determinazione. Quando finisco di suonare di solito penso: io gliel’ho detto.Spero che mi abbiano ascoltato”.
Il clima rimane incandescente con il successivo brano Blue Cee, un sentito blues dove spicca ancora il solismo aggressivo di uno scatenato Mingus.
Con Reicarnation Of A Lovebird i toni si fanno dolci e malinconici con la più bella composizione melodica scritta da Mingus. Il brano, commosso omaggio all’amico Charlie Parker (Bird), comincia con un’improvvisazione collettiva di citazioni parkeriane, per poi approdare, tramite un’introduzione pianistica, al meraviglioso tema principale. In questo pezzo i sentiti assolo di Hafi, Knepper e Legge mantengono un perfetto equilibrio tra libertà improvvisativa e rigorosa esigenza narrativa.
Il brano finale, che dà anche il titolo al disco, è figlio di un’epoca impegnata ad abbattere le barriere fra le varie arti, quando nascevano progetti di letteratura e musica jazz. La composizione è intercalata da parti recitate da Joan Shepherd. Mingus stesso spiega il progetto nelle note di copertina: “La storia…tratta di un clown che tentava di piacere alla gente, come la maggior parte dei musicisti jazz, ma che non piacque a nessuno, se non dopo morto”. Il pezzo, pur essendo interessante per la sua forza descrittiva, viene appesantito dalla parte recitata. Se fosse solo per questa composizione il disco rimarrebbe unicamente ricordato come testimonianza di un periodo storico. Invece la presenza di due delle gemme più preziose del pur ricco scrigno compositivo mingusiano, Haitian Fight Song e Reincarnation Of A Lovebird, pongono quest’opera tra le più importanti della sua carriera. Voto: 29/30
Massimo Daziani